La lectio magistralis di Pietro Antonio Tataranni, vicepresidente Global Medical Operations di Sanofi, ha saputo interessare e far riflettere la platea sulla sostenibilità dell’attuale modello di ricerca e sviluppo dei farmaci

Pietro Antonio Tataranni, vicepresidente Global Medical Operations di Sanofi

Quale il futuro dell’industria farmaceutica? E quale futuro per l’industria farmaceutica italiana? È stata questa la domanda che ha stimolato la discussione e le riflessioni degli oltre mille partecipanti del 53° Simposio AFI (Associazione Farmaceutici Industria) riuniti a Rimini dal 12 al 14 giugno scorso.

«Scoprire, sviluppare e portare sul mercato un farmaco è una delle attività più nobili del genere umano e far parte di questa avventura è un privilegio per noi colleghi del settore» ha esordito Pietro Antonio Tataranni, vicepresidente Global Medical Operations di Sanofi durante la brillante lectio magistralis che ha aperto i lavori.

Tuttavia, nonostante i grandi progressi dell’ultimo secolo, ancora oggi circa due terzi delle patologie che affliggono il genere umano, cioè circa tremila malattie, non hanno una risposta terapeutica e le medicine in commercio sono efficaci solo in circa il 50% dei malati. «Questo deve farci riflettere e aprire una discussione se il modello attuale di sviluppo dei farmaci sia efficace o se sia in crisi e se la responsabilità di questa situazione sia solo dell’industria farmaceutica, o, come mi sembra più corretto, della società in generale» riflette il relatore.

È necessario un nuovo modello di sviluppo dei farmaci

Il modello attuale di ricerca e sviluppo del farmaco porta a un equilibrio tra l’investimento iniziale richiesto e il suo ritorno economico sempre più sfavorevole all’industria a causa della diminuzione del numero dei nuovi farmaci, dell’aumento del tempo necessario alla loro effettiva commercializzazione (mancanza di criteri condivisi per valutare l’innovazione e la rimborsabilità) e della diminuzione dei guadagni (aumento dei costi regolatori, aumento dei tempi di ricerca), mentre i benefici dei medicinali scoperti e sviluppati dall’industria farmaceutica sono in ogni caso notevoli e rimangono a disposizione della società per sempre e a costi contenuti dopo la perdita della copertura brevettuale.

L’industria sta reagendo sia diversificando e ampliando l’offerta del portfolio, includendo farmaci da banco, generici, integratori e servizi al paziente sia ripensando al modello di ricerca e sviluppo.

Il modello di sviluppo di un farmaco utilizzato finora prevede una serie di attività che procedono secondo un rigido schema lineare che ha portato all’identificazione di molecole che nel 70% dei casi non superano la sfida delle cliniche di fase III pur avendo passato la preclinica e le prime fasi cliniche. Anche le impressionanti scoperte della genetica degli ultimi decenni non stanno portando ai risultati sperati. Nota Tataranni: «Abbiamo identificato tutte le migliaia di geni del genoma umano, le 200mila e più proteine codificate da questi ultimi e, secondo alcuni, abbiamo a disposizione tutti i target molecolari contro cui disegnare nuove medicine, ma non riusciamo a portare nuove medicine sul mercato. Questo perché conosciamo molto bene queste molecole quando sono isolate una dall’altra ma non siamo riusciti a capire come queste interagiscono tra di loro all’interno di pathway molecolari molto complessi e, spesso, ridondanti e che causano lo sviluppo di una malattia in un certo fenotipo».

Finora è mancato un approccio sistematico che dimostrasse e studiasse il potenziale transnazionale di queste molecole nel miglioramento alla cura delle malattie umane.

«Nel passato siamo partiti dalle molecole chimiche a nostra disposizione e abbiamo cercato di vedere le possibili malattie in cui potevano essere impiegate. Per riuscire ad avere farmaci efficaci invece – sottolinea Tataranni – bisogna capovolgere l’approccio e identificare le malattie umane delle quali capiamo profondamente i meccanismi molecolari che le causano e i target molecolari responsabili della malattia nell’uomo per cui possiamo disegnare in maniera razionale le entità chimiche o biochimiche che vanno ad ”aggiustare” la situazione».