Un recente studio del gruppo di Paolo Bellavite (Dipartimento di Patologia e Diagnostica dell’Università di Verona), riporta un effetto del medicinale Gelsemium sempervirens sulle cellule neuronali in coltura. L’articolo, pubblicato sulla prestigiosa rivista “BMC Complementary Alternative Medicine” il 19 marzo, è intitolato “Extreme sensitivity of gene expression in human SH-SY5Y neurocytes to ultra-low doses of Gelsemium sempervirens”. Autori, oltre a Bellavite, sono anche Marta Marzotto, Debora Olioso, Paola Tononi, Mirco Cristofoletti dell’Università di Verona e Maurizio Brizzi, professore di Statistica all’Università di Bologna che ha compiuto indipendentemente i calcoli. La ricerca è frutto di un accordo di collaborazione scientifica tra il Dipartimento universitario e Boiron.

Paolo Bellavite con alcune collaboratrici del gruppo di ricerca (da sin. Elisabetta Moratti, Marta Marzotto, Debora Olioso)
Paolo Bellavite con alcune collaboratrici del gruppo di ricerca (da sin. Elisabetta Moratti, Marta Marzotto, Debora Olioso)

Il Gelsemium è una pianta tradizionalmente utilizzata in alte diluizioni (dosi ultra-basse) nella cura di pazienti che, tra l’altro, presentano sintomi di ansietà e di stress. In precedenza, lo stesso gruppo veronese (con studi confermati da altri laboratori) aveva dimostrato che alte diluizioni di Gelsemium agiscono come “tranquillanti” in modelli sperimentali sul topo di laboratorio. Per cercare di capire il meccanismo d’azione, i ricercatori hanno utilizzato una potente tecnica di indagine, basata su un “microarray” in cui si può analizzare l’espressione di tutti i geni della cellula attraverso la quantità di RNA presente dopo il trattamento col medicinale oppure con una soluzione di controllo (“placebo”). Il modello sperimentale è stato quello di neuroni umani in coltura (una linea cellulare utilizzata spesso per questo tipo di studi, ma mai usata con diluizioni così alte).

L’esposizione per 24 ore al Gelsemium 2CH (seconda diluizione centesimale omeopatica), che contiene una quantità piccolissima di principio attivo della pianta (precisamente 6.5 × 10-9 M di gelsemina), ha causato la diminuzione significativa dell’espressione di 49 geni (su un totale di oltre 45.000 studiati!) facenti parte di diverse “famiglie” implicate nella trasmissione del segnale, nell’omeostasi del calcio e nella risposta infiammatoria. Tutto ciò rappresenta una prima identificazione di quelli che potrebbero essere i meccanismi coinvolti nei molteplici effetti terapeutici di tale rimedio. I più significativi di tali geni sono stati confermati anche con la tecnica della polymerase-chain-reaction.

Mentre l’identificazione di un gruppo di geni sensibili al farmaco è comunque una novità, la cosa straordinaria è che, considerando tali geni “ultra-sensibili” al Gelsemium, una piccola ma significativa diminuzione globale di attività dei neuroni , coerente con un possibile effetto ansiolitico, è stata osservata anche con diluzioni sempre più alte (3CH, 4CH, 5CH). I ricercatori si sono spinti fino alla 9CH e 30CH, in cui teoricamente a causa della diluizione ci sono pochissime (o nessuna nella 30CH) molecole del principio attivo. Naturalmente tale ricerca andrà approfondita, ma rappresenta una solida conferma del principio secondo cui la preparazione omeopatica mantiene l’“imprinting” dell’attività farmacologica delle sostanze naturali persino ad altissime diluizioni. È suggestivo sapere che il DNA dei neuroni umani è ultra-sensibile a tale tipo di regolazione.