Per migliorare la biodisponibilità di attivi poco solubili esistono diverse tecniche tra cui la riduzione delle dimensioni particellari in particolare l’utilizzo di nanoparticelle. Queste particelle hanno dimensioni inferiori al micron, solitamente tra i cento e i cinquecento nanometri e hanno la tendenza ad aggregare rendendo quindi necessaria la presenza di stabilizzanti a livello della superficie delle particelle. Nano­sospensioni possono essere somministrate per via parenterale mentre per la somministrazione orale è preferibile la trasformazione in forme solide, sia per la praticità di confezionamento sia di utilizzo da parte del paziente. Per la produzione di nano­particelle si utilizzano processi di precipitazione, macinazione e omogenizzazione, che spesso richiedono tempi lunghi e sono molto costosi, soprattutto quando si lavora in sospensione e si vuole ottenere poi un prodotto solido poiché è necessario aggiungere il passaggio dell’essiccamento. Dei cinque prodotti in commercio in forma di nanocristalli, quattro sono stati ottenuti tramite una tecnica di macinazione a umido che richiede il passaggio di essiccamento per ottenere nanoparticelle solide. Nello studio di Khinast, Baumgartner e Roblegg (AAPS PharmSciTECH, 2013, vol. 14, n.2, pp.601­604) è stato sviluppato un sistema costituito da un singolo processo di nano­estrusione in cui la nano­sospensione è stata caricata direttamente nell’estrusore a caldo con l’obiettivo di ottenere un estruso contenente nanocristalli distribuiti in modo omogeneo nella matrice. Inizialmente sono state preparate nano­sospensioni acquose di biossido di titanio (10 mg/ml), scelto come sostanza modello, stabilizzate con differenti eccipienti in concentrazioni dallo 0,1% al 3%, che sono state analizzate in termini di dimensioni particellari, potenziale zeta e indice di dispersione al tempo zero e dopo 15 giorni a 5°C. Una sola formulazione, quella stabilizzata con lo 0,4% di acido citrico monoidrato, ha permesso di ottenere una nano-sospensione stabile ed è stata utilizzata per gli esperimenti di estrusione. Il processo è stato effettuato in un estrusore a doppia vite utilizzando temperature tra i 100 e i 150°C nelle diverse zone della camera dell’estrusore. La camera dell’estrusore è suddivisa infatti in dieci sezioni che possono essere scaldate individualmente a differenti temperature; le prime tre zone sono quelle di carico, in cui la temperatura risulta più bassa, in seguito ci sono le zone di compressione e per ultimo lo stampo attraverso cui viene forzato l’estruso che, raffreddandosi a contatto con l’aria, solidifica. Il polimero scelto per costituire la matrice è il Soluplus, miscibile con acqua e con bassa temperatura di transizione vetrosa (70°C), che è stato caricato nella prima sezione e degassato nella quarta dopo il suo rammollimento dovuto all’aumento della temperatura. Nella quinta sezione è stata caricata la nano­sospensione acquosa; la rimozione dell’acqua dalla massa è stata facilitata dall’applicazione di vuoto a circa 80 mbar nell’ottava sezione. Gli estrusiottenuti, analizzati utilizzando microscopio elettronico a scansione e spettroscopio a emissione di raggi X, contengono nanoparticelle di biossido di titanio, disaggregate, di circa 200­-400 nm distribuite in modo omogeneo nella matrice. Il processo, poco costoso, permette di ottenere nano­formulazioni solide in modo continuo, ma ulteriori studi saranno necessari per valutare la tecnica con molecole di interesse farmaceutico.