La stampa 3D di dispositivi medici si va sempre più affermando come una tecnologia d’avanguardia per la produzione di dispositivi su misura (custom made), progettati sulla base della precisa anatomia del singolo paziente con l’obiettivo di offrire opzioni di trattamento che rispondano al meglio ai suoi bisogni.

Negli Stati Uniti, l’FDA ha recentemente emanato la prima bozza di linea guida “Technical considerations for additive manufactured devices“, attualmente aperta alla consultazione pubblica fino al prossimo 8 agosto. Fino a dicembre 2015 erano 85 i dispositivi medici stampati in 3D ed autorizzati da parte dell’Agenzia regolatori americana. nel suo documento, l’FDA prende in considerazione gli aspetti tecnici e di caratterizzazione e validazione della stampa 3D, e sottolinea come la linea guida non è indirizzata a produzioni di prodotti contenenti sostanze biologiche, cellule o tessuti umani.

Calotta cranica stampata in 3D e impiantata a una paziente olandese nel 2014 (credit: UMC Utrecht)
Calotta cranica stampata in 3D e impiantata a una paziente olandese nel 2014 (credit: UMC Utrecht)

Al momento la normativa europea non comprende disposizione specifiche per questa tipologia di produzioni: un processo di progettazione e stampa additiva del dispositivo che è particolarmente delicato nel caso dei dispositivi impiantabili di classe 3, come ad esempio le protesi  utilizzate nella chirurgia maxillo-facciale o ortopedica. Innumerevoli sono ormai i casi di sostituzione di vari distretti ossei con protesi stampate in 3D descritti in letteratura scientifica. All’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, il chirurgo Davide Donati ha già applicato la tecnica per sostituire porzioni del bacino in pazienti affetti da tumore osseo, con buoni risultati sulla ripresa della loro funzionalità deambulatoria.

Una classe di prodotti non ancora normata

I manufatti stampati 3D e destinati all’impianto nel paziente sono classificati alla stregua di dispositivi custom made di classe 3 ai sensi della Direttiva 93/42/CEE. La norma, però, è stata redatta in tempi ormai lontani e quindi non prende in considerazione le caratteristiche peculiari di questo tipo di tecnologia, che al momento in Europa non è oggetto di una legislazione dedicata. Anche il nuovo regolamento europeo sui dispositivi medici di prossima emanazione non conterrà previsioni specifiche per meglio regolare l’utilizzo della stampa 3D nella produzione dei medical device. La procedura di autorizzazione dovrebbe rimanere quella già in essere per dimostrare la conformità ai requisiti essenziali di sicurezza (Allegato I) dei dispositivi su misura, secondo quanto previsto dall’Allegato VIII dell’attuale direttiva.

Un gruppo d’interesse europeo

L’apposito gruppo d’interesse 3D Printing sulla stampa 3D in campo biomedicale è stato creato da poco più di anno da parte della Commissione europea nell’ambito dell’iniziativa NET – New and emerging technologies. Il gruppo, sotto la guida dell’italiano Roberto Liddi, sta predisponendo un white paper in collaborazione con il Joint Research Center di Ispra – il braccio tecnologico-esecutivo della Commissione – per rappresentare ai legislatori europei i principali problemi connessi alla stampa 3D dei dispositivi medici, di modo che possano eventualmente essere presi in considerazione nella fase di emanazione della legislazione parallela che seguirà a quella di approvazione definitiva del nuovo regolamento europeo sui dispositivi medici. «Il problema è che, con la stampa 3D, potenzialmente ogni ospedale potrebbe acquistare una stampante e iniziare a produrre dispositivi custom made senza i controlli condotti sull’industria – sottolinea Roberto Liddi -. Per i dispositivi su misura non è richiesto di provvedere evidenza clinica, che è invece normalmente richiesta all’industria. Dal punto di vista regolatorio, ciò potrebbe dar luogo a un mercato non controllato. E’ il punto principale che sto cercando di sottomettere alla Commissione: non c’è un controllo del rischio su questa situazione».

Attualmente, i dispositivi impiantabili stampati 3D non sono soggetti all’audit da parte degli enti notificati nonostante la classe del dispositivo sia la più alta, in quanto rientranti nella categoria dei dispositivi su misura.

Dispositivi su misura di classe 3

«Usiamo la definizione di custom made in modo improprio, in realtà si tratta di una tipologia di dispositivi su misura molto particolare che richiedono approvazioni ad hoc da parte del Ministero» spiega a NCF la responsabile degli Affari Regolatori di Assobiomedica, Vincenza Ricciardi.

Il medico che ha in carico il paziente deve presentare alle autorità regolatorie una dichiarazione di assunzione di responsabilità per l’uso del dispositivo stampato in 3D, accompagnata dai dati relativi allo specifico paziente (anche in forma anonima) e alla sua patologia. Il fabbricante deve produrre la normale documentazione attestante l’analisi di rischio, il rispetto dei requisiti e l’aderenza alle pratiche di buona fabbricazione.

Negli Stati Uniti, il primo prodotto autorizzato con procedura 510(k) da parte dell’FDA è stata una resina dentale acrilica fotosensibile di classe 2, utilizzabile per la stampa 3D nella fabbricazione della base o per la riparazione di dentiere e altre tipologie di protesi dentali. L’Agenzia americana ha specificato che la produzione tramite stampa 3D inizia a essere considerata “industriale” se supera i cinque pezzi l’anno. «È un buon punto di partenza: significa restringere l’utilizzo della stampa 3D come processo industriale, creare un dossier tecnologico e controllare la riproducibilità del processo. Si entra nel campo d’applicazione della norma internazionale ISO 13485 sulla validazione dei processi industriali usati per la produzione di dispositivi medici e s’inizia a parlare di GMP, uno standard che l’industria biomedicale utilizza da sempre ma che l’ospedale non conosce», sottolinea Roberto Liddi.

I materiali per la stampa

Anche le materie prime usate per la stampa 3D dei dispositivi impiantabili presentano caratteristiche completamente diverse da quelle tradizionalmente utilizzare per le produzioni in casting. Il titanio-64 di grado biomedicale, ad esempio, è frequentemente usato per la produzione delle protesi impiantabili e per poter essere usato per la stampa col processo di laser synthering deve essere disponibile in forma di nanopolvere. Ciò fa si che le caratteristiche chimico-fisiche e tecnologiche del metallo siano molto diverse da quelle delle barre normalmente usate per la fusione in casting. In parallelo, anche gli standard metodologici e analitici per le fasi di test e controllo qualità del prodotto sono diversi a seconda del metodo produttivo utilizzato. «Ci sono almeno 40-50 diversi parametri da controllare e ottimizzare in dipendenza di quale polvere si usa con quale macchina. Attualmente ci sono una dozzina di macchine commerciali per laser synthering, e almeno sei diversi produttori di titanio-64 biomedicale, con molte diverse soluzioni potenziali», esemplifica Liddi.

Ottimizzare la comunicazione

Come detto, la responsabilità finale per l’impianto del dispositivo custom made stampato in 3D è del medico utilizzatore: un passaggio che rende fondamentale la capacità di instaurare una corretta e fattiva comunicazione tra le diverse competenze – ingegneristiche e dei materiali, informatiche e mediche – necessarie a progettare l’intervento in modo ottimale. Il primo prototipo, ottenuto spesso in forma “virtuale” tramite elaborazione delle immagini diagnostiche TAC e MRI dei pazienti, viene quindi raffinato e ottimizzato sulla base delle indicazioni dei sanitari che hanno in cura i pazienti. Di norma, l’accesso ai file di progetto è riservato ai tecnici informatici che hanno le adeguate competenze per apportare le modifiche salvaguardando la sicurezza complessiva del dispositivo.

Anche questi aspetti verranno considerati all’interno del white paper in preparazione da parte del gruppo 3D Printing del NET, in modo da predisporre un quadro generale di riferimento che aiuti a indirizzare i fabbricanti e gli utilizzatori sulle procedure ottimali da adottare per arrivare a una maggiore uniformità nella stampa 3D dei dispositivi medici impiantabili.

Vuoi saperne di più sulla stampa 3D dei dispostivi medici impiantabili? Se sei abbonato clicca qui per leggere l’articolo sul numero di Marzo 2016 di NCF. Se non sei abbonato clicca qui.