Una volta di più è finita sotto inchiesta la propensione di aziende farmaceutica e centri di ricerca pubblici e privati alla pubblicazione dei risultati degli studi clinici. Anna Powell-Smith e Ben Goldacre, ricercatori dell’Evidence-based medicine data lab dell’Università di Oxford hanno pubblicato su F1000Research i risultati ottenuti nello sviluppo di un algoritmo automatico, TrialsTracker, che punta a identificare e monitorare la pubblicazione dei risultati degli studi clinici a livello internazionale. Il programma è stato testato su 25.927 studi clinici selezionati dalla banca dati statunitense clinicaltrials.gov. Poco meno della metà (45,2%, pari a 11.714 studi) secondo gli autori avrebbero mancato l’appuntamento con la pubblicazione dei risultati sperimentali.

L'algoritmo TrialsTracker si propone di evidenziare il numero di studi clinici i cui risultati sperimentali non sono stati pubblicati (credits: Anna Powell-Smith e Ben Goldacre. TrialsTracker)
L’algoritmo TrialsTracker si propone di evidenziare il numero di studi clinici i cui risultati sperimentali non sono stati pubblicati (credits: Anna Powell-Smith e Ben Goldacr, .F1000Research 2016, 5:2629, doi: 10.12688/f1000research.10010.1)

L’algoritmo è open source, sotto licenza del MIT, e può essere scaricato da GitHub. I risultati dell’analisi computerizzata sono disponibili sul sito https://trialstracker.ebmdatalab.net, da cui è possibile elencare gli sponsor per ordine di numero di studi condotti, mancanti e per percentuale di quest’ultimi. Gli utenti del sito possono selezionare un certo sponsor e verificare i dati annuali ad esso riferiti.

Powell-Smith e Goldacre sottolineano come TrialsTracker possa aiutare il monitoraggio in tempo reale e a basso costo della pubblicazione dei risultati degli studi clinici, permettendo una maggiore copertura rispetto ai più tradizionali studi di coorte e l’analisi ripetuta dei dati. Gli autori stessi non mancano anche di evidenziare i lati deboli del loro programma, ancora in fase iniziale di sviluppo, che potrebbe non selezionare le pubblicazioni in caso di mancanza del numero identificativo di registrazione del trial. Una responsabilità che gli autori assegnano al gestore del trial stesso, in quando dal 2005 la maggior parte delle riviste medico-scientifiche richiede l’inclusione dell’ID all’atto della pubblicazione. Un altro punto debole del metodo è la possibile inclusione di studi falsi positivi, dotati di ID ma che non hanno portato a reporting dei risultati. I due ricercatori sottolineano, dalla pagina internet che riporta i risultati dell’analisi, come il metodo da essi sviluppato non sia certo perfetto, ma sia volto ad incentivare la compliance dei ricercatori verso la pubblicazione dei dati. L’invito, per gli sponsor che vogliono migliorare il proprio punteggio nella classifica generata dall’algoritmo, che si aggiorna in tempo reale coi nuovi dati, è quello di “postare il riassunto dei risultati degli studi su clinicaltrials.gov o di chiedere ai vostri giornali di aggiungere l’NCT ID del trial al dato di PubMed riferito ai risultati pubblicati“.

I risultati

Secondo l’articolo pubblicato su F1000Research, la percentuale più elevata di studi clinici con risultati non pubblicati da sponsor classificabili con precisione sarebbe appannaggio dei National Health Institutes (361/996, pari al 36.2%), davanti a quelli con sponsor industriali (2390/8799, 27.2%) e a quelli classificati come “US Fed” (122/470, 26.0%). Più della metà del totale degli studi risultati non pubblicati (8841/15662, 56.4%) deriva da sponsor classificati sotto la voce “altri”. Oltre 8,7 milioni sarebbero i pazienti arruolati in studi clinici i cui risultati non sono mai stati resi noti, riporta l’articolo.

La ricerca degli studiosi inglesi colloca due aziende farmaceutiche ai primi posti della classifica degli sponsor con il maggior numero di studi che risulterebbero avere risultati mancanti: Sanofi (285/435, 66%) e Novartis (201/534, 38%), davanti al National Cancer Institute (194/558, 35%), all’Assistance Publique – Hôpitaux de Paris (186/292, 64%) e GlaxoSmithKline (183/809, 23%). Gli autori sottolineano di aver volutamente indicizzato i risultati in termini numerici, e non percentuali, per dare maggior risalto alle dimensioni effettive del fenomeno.

Shire guida la classifica degli sponsor che, dall’analisi automatica dei dati, appaiono essere “virtuosi“, avendo pubblicato i risultati di tutti gli studi clinici da essa promossi (96 in totale). Colgate Palmolive non avrebbe pubblicato il risultato di un solo studio sui 32 condotti (3%), seguita da Bristol-Myers Squibb (5/115, 4%), Eli Lilly (15/292, 5%) e Johnson & Johnson Pharmaceutical Research & Development (3/58, 5%).

Le maglie nere della classifica, con la maggior percentuale di studi apparentemente mancanti, sono risultate essere Ranbaxy Laboratories (35/35, 100%), la cinese Nanjing Medical University (32/35, 91%), l’israeliano Rambam Health Care Campus (27/30, 90%), l’iraniana Isfahan University of Medical Sciences (44/49, 90%) e il City of Hope Medical Center di Duarte, California (39/44, 89%).

La metodologia

I ricercatori di Oxford hanno usato per la loro analisi automatizzata i dati grezzi in formato XML scaricati per tutti gli studi presenti nella banca dati clinicaltrials.gov. I criteri d’inclusione hanno escluso gli studi osservazionali e quelli non ancora completati. Gli studi sono stati inclusi a partire da una data di completamento posteriore al 1° gennaio 2006 fino a 24 mesi fa e sono studi di fase 2,3,4 o “n/a” per i quali non sia stata presentata alcuna domanda di posticipare i risultati. Gli autori hanno considerato solo sponsor che abbiano gestito più di 30 studi clinici. Gli studi inclusi nell’analisi automatica sono stati selezionati sulla base della loro pubblicazione in clinicaltrials.gov (rstreceived_ results_date tag) e da quella nella banca dati bibliografica PubMed. Gli autori hanno anche applicato filtri appropriati per includere solo le pubblicazioni inerenti i risultati dei trial, e non i protocolli sperimentali o altri tipi di pubblicazioni. I risultati ottenuti dal programma automatico sono stati anche comparati a quelli derivanti da varie ricerche manuali nelle banche dati.

I commenti degli addetti ai lavori

L’articolo di Powell-Smith e Goldacre ha subito visto la risposta di Efpia, la Federazione europea delle associazioni dell’industria farmaceutica, che dal suo sito ha ribadito come, pur non avendo ancora avuto l’opportunità di analizzare lo studio nello specifico, sia benvenuta la continua attenzione sulla trasparenza degli studi clinici portata dai suoi autori. “Nel viaggio verso la trasparenza degli studi clinici, Efpia e i suoi membri sono pronti a render conto in termini di come siano all’altezza delle aspettative”, ha dichiarato il direttore generale Richard Bergström. Efpia sottolinea anche, nel sul comunicato, come la migliore comprensione della trasparenza globale debba passare anche dalla verifica di quali registri, oltre a clinicaltrials.gov, siano usati per la registrazione degli studi clinici. Esistono, infatti, altre banche dati globali, quali ad esempio EudraCT.

L’Associazione industriale ha ribadito, inoltre, il suo supporto alla legislazione europea sul tema, tra cui spiccano (oltre al Regolamento europeo sugli studi clinici n. 536/2014) le politiche di trasparenza volute dall’Agenzia europea dei medicinali (Access to Documents – Policy 0043 e Publication and access to clinical-trial data – Policy 0070). Queste ultime, si legge nel comunicato di Efpia, assicureranno che tutti gli studi condotti in Europa siano registrati e i loro risultati siano pubblicati in modo pro-attivo dopo la fine del trial, all’interno del periodo temporale sottoscritto con l’EMA e al più tardi nel momento dell’approvazione del medicinale. Efpia sottolinea anche i progressi fatti dal settore farmaceutico dalla pubblicazione nel 2014 degli EFPIA/PhRMA principles for responsible sharing of clinical trial data, che delineano i requisiti legali minimi per la compliance e la disseminazione dei risultati dei trial. Uno degli obiettivi del documento era proprio quello di favorire l’accesso pubblico alle informazioni sugli studi clinici.

Direttamente sulla pagina dell’articolo originale, invece, ha postato i suoi commenti Adam Jacobs, direttore associato di Biostatistica dell’inglese Premier Research. Jacobs sottolinea la mancanza di sensibilità e specificità dell’algoritmo, cosa peraltro citata nel testo anche dagli autori, e ha condotto un semplice esperimento per verificare la correttezza dei risultati ottenuti per Sanofi, l’azienda che secondo l’analisi automatica risulterebbe la più “negligente” nella pubblicazione degli studi. Jacobs ha selezionato i primi dieci studi di Sanofi che risulterebbero non pubblicati secondo TrialsTracker ed è andato a cercarli su Google, trovando che ben otto di essi vedevano la pubblicazione dei risultati sul sito stesso della società farmaceutica implicata, uno era pubblicato in un giornale peer-reviewed. Solo uno, quindi, sarebbe lo studio clinico non pubblicato, secondo Jacobs; uno studio relativo peraltro a un candidato farmaco abbandonato nel 2008.