I “cervelli in fuga”, ovvero i ricercatori che cambiano Paese di lavoro nel corso della propria carriera, producono le pubblicazioni a più alto impatto scientifico. Sono i risultati di un’indagine, condotta da Cassidy R. Sugimoto e colleghi pubblicata su Nature, che ha analizzato le affiliazioni dei circa 16mila autori di 14 milioni di articoli scientifici pubblicati dal 2008 al 2015.

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La quasi totalità degli Autori (96%) ha un unico Paese di affiliazione e sono stati definiti “non mobili”, il 4% (più di 595mila ricercatori) è invece mobile perché ha cambiato affiliazione e Paese di lavoro nel periodo considerato. I ricercatori mobili hanno in media un indice di citazione più elevato (+40%) dei ricercatori non mobili. I ricercatori europei mobili hanno un aumento del 172,8% delle citazioni rispetto ai loro connazionali rimasti a casa, mentre i ricercatori nordamericani mobili sono più citati (+10%) rispetto a quelli non mobili.
Il lavoro ha studiato i flussi migratori e ha evidenziato come ci siano Paesi e continenti che perdono cervelli e altri che tendono ad assumerli. Va anche notato che nella maggior parte dei ricercatori expat (72,2%) non tagliano i ponti con il Paese di origine e tendono a costruire catene di affiliazioni che legano le nazioni.

Il dato più macroscopico è il flusso di ricercatori che studia in Europa e finisce a lavorare in Nord America. I Paesi del Nord America e del Nord Europa sono forti produttori di scienziati già ben citati prima della loro partenza e sono in grado di far crescere gli scienziati che vi si stabiliscono. L’Asia è un forte reclutatore di cervelli, mentre l’Oceania è un notevole incubatore.
Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Canada e Germania sono nodi del network scientifico mondiale. Di conseguenza le politiche antimmigrazione (USA) o indipendentistiche (Regno Unito) possono avere un impatto notevole sulla ricerca mondiale. In particolare l’importanza del Regno Unito risiede nella sua capacità essere un ponte tra gli scienziati europei e quelli di altre parti del mondo.
Le politiche antimmigrazione di Trump bloccano l’accesso dei ricercatori delle aree medio orientali possono contribuire a far perdere il ruolo di centralità nel network scientifico e nel numero di pubblicazioni statunitense. Allo stesso tempo queste politiche possono favorire la migrazione dei ricercatori verso altri Paese che se avvantaggeranno in futuro. È questo infatti il caso del Canada che ha visto aumentare le richieste di ingresso da parte di studenti laureati.