Il cammino dell’Europa verso l’adozione di nuovi modelli di sanità digitale ha fatto un ulteriore passo avanti con la pubblicazione, il 19 settembre scorso, dell’opinione del Comitato economico e sociale europeo (Eesc) relativa alla proposta della Commissione europea contenuta nella ComunicazioneTransformation of Health and Care in the Digital Single Market, empowering citizens and building a healthier society’ dell’aprile scorso.
Nel frattempo, la Gran Bretagna sta preparando il suo futuro per l’era post-Brexit, e un indagine di Kpmg ha fatto luce sulla percezione dell’intelligenza artificiale tra la popolazione, in modo particolare per quanto riguarda la condivisione dei dati con il servizio sanitario Nhs.

La transizione cambierà la natura del lavoro sanitario

Man mano che sempre nuove applicazioni dell’intelligenza artificiale si vanno facendo strada anche in ambito sanitario, appare sempre più chiaro che la loro crescente implementazione cambierà profondamente la natura stessa del lavoro dei medici e degli altri operatori sanitari, che potranno essere sempre più supportati nelle loro decisioni da quanto indicato dagli algoritmi di deep-learning e machine-learning. Questa profonda trasformazione è stata recepita anche nelle conclusioni del Comitato Eesc, che conferma anche la il ruolo centrale del paziente nella filiera della cura, e come la digitalizzazione possa aiutare i medici a dedicare più tempo ai propri pazienti.

Il cambio di prospettiva richiede però anche una profonda azione a livello formativo e di training, per adeguare le competenze al mondo che cambia. Non solo il lavoro dei sanitari, anche l’organizzazione stessa dei sistemi sanitari dovrà essere rispensata, sottolinea il documento, per sfruttare le piene potenzialità offerte dalle tecnologie digitali. In particolare, l’Eesc suggerisce che si lavori preventivamente per disporre di soluzioni interoperabilità per l’eHealth network previsto dalla direttiva sui diritti dei pazienti nella sanità trasfrontaliera (2011/24/EU).

I dati, un valore per gli algoritmi

La cura diventa un servizio personale da fornire sul lungo termine, spiega il documento di Eesc, visto l’impatto crescente dell’invecchiamento e della conseguente cronicità di molte patologie. L’innovazione digitale dovrebbe rappresentare un mezzo adatto ad assicurare l’equo accesso alle cure: l’opinione sottolinea importanza di prevedere il diritto e la possibilità per le persone di accedere ai propri dati sanitari e di controllare con chi condividerli, secondo quanto previsto anche dal regolamento Gdpr.
Il suggerimento del Comitato è di istituire un “right to (free) copying” quale forma attiva di protezione per i dati generati dagli utenti nelle loro interazioni con le piattaforme sanitarie, dati che così potrebbero essere riutilizzati da chi li ha generati. I originali dati conferiti tramite le piattaforme dovrebbero essere considerati come un prodotto originale generato dagli utenti e protetto di conseguenza secondo i codici di proprietà intellettuale. Eesc sollecita anche all’adozione di nuovi quadri etici, legali e sociali per meglio considerare i rischi associati ai processi di data mining. In particolare, il Comitato supporta le azioni volte a ri-bilanciare l’assimentria socio-economica tipica delle data driven economy, azioni che dovrebbero passare dallo sviluppo di piattaforme sicure e dal supporto a organizzazioni no-profit e collaborative per la conservazione, la gestione e la condivisione delle copie dei dati personali.

Qual è la percezione delle persone

Secondo i dati allegati all’opinione del Comitato EEsc (si veda l’infografica), la grande maggioranza dei cittadini europei (90%) sarebbe d’accordo con la possibilità di poter accedere ai propri dati sanitari, percentuale che scende all’80% per quanto riguarda la possibilità di condividerli in modo sicuro e di fornire un feedback sulla qualità dei trattamenti ricevuti.

(credits: Commissione europea)

Una percezione che potrebbe sembrare troppo ottimistica, se la si va a paragonare con i dati dell’indagine Kpmg “How the UK can win the AI race”, che traccia la roadmap per la trasformazione digitale in Gran Bretagna nell’era post-Brexit e con un obiettivo temporale al 2030. L’indagine a chiesto a 2 mila inglesi cosa pensino dell’uso dell’intelligenza artificiale: seppur il 61% degli intervistati ha segnalato la necessità di acquisire nuovi skill per poter usare appieno le nuove tecnologie (il 32% ritiene di disporne già), solo poco più della metà (53%) ritiene che l’Ai avrà un impatto positivo sul National Health Service (Nhs), e il 56% si è detto d’accordo a permettere l’uso dei propri dati per migliorarne le prestazioni. Il servizio sanitario di Sua Maestà è comunque risultato l’ente che gode della maggior fiducia dei cittadini per quanto riguarda il conferimento e l’utilizzo dei propri dati sanitari: il divario è davvero significativo se si va a confrontare con la fiducia nelle aziende farmaceutiche (15%), nelle charity (11%) o nelle società di comunicazione o di internet (8%, rispettivamente).

(credits: Kpmg)

Significativamente, quasi un quarto del campione (24%)  non conferirebbe i propri dati a nessuna tra le organizzazioni indicate (comprese la polizia, le banche o il governo). Solo il 10% degli intervistati ritiene che questo tipo di politiche possano avere un impatto negativo sul Nhs.

Questa scala fiducia potrebbe rappresentare un’ostacolo per la piena implementazione delle tecnologie AI, sottolinea il rapporto: “La quantità di dati conservati dal Nhs è un asset nazionale. Questi dati sono la chiave per aprire a un’industria dell’healthcare AI che sia leader mondiale. Sappiamo che le persone sono caute su con chi condividono i propri dati. Dobbiamo risolvere la mancanza di fiducia in quelle società equipaggiate per avviare l’industria britannica della sanità AI”, scrive nel documento James Stewart, vice-chair e Head of Brexit and Industrial Strategy di Kpmg.
Il rapporto di Kpmg ha investigato anche altri aspetti dell’impatto percepito dell’intelligenza artificiale, ad esempio il 51% del campione si è detto preoccupato per quanto riguarda gli aspetti relativi alla privacy e solo il 31% pensa che possa contribuire a diminuire gli errori nelle decisioni prese dall’uomo. Il 59% degli intervistati ha anche richiesto di regolamentare meglio dal punto di vista legislativo la diffusione e l’uso delle tecnologie AI.