L’epatite C è un’infezione pericolosa, ma ormai facilmente curabile con terapie brevi ben tollerate ed efficaci nel 99% dei casi. In Italia il sommerso è del 20%, ma curarsi subito è un imperativo.

Si stima che, nella popolazione generale, la percentuale delle persone ignare di avere l'infezione da HCV non sia superiore al 20%, ma la percentuale è molto più elevata nelle categorie a rischio, come quella dei soggetti con dipendenza da sostanze
Si stima che, nella popolazione generale, la percentuale delle persone ignare di avere l’infezione da HCV non sia superiore al 20%, ma la percentuale è molto più elevata nelle categorie a rischio, come quella dei soggetti con dipendenza da sostanze

In occasione del Congresso ICAR, Italian Conference on AIDS and Antiviral Research (Milano, 5-7 giugno 2019), Massimo Puoti, direttore S.C. Malattie Infettive, ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, dichiara:

«Le percentuali di guarigione osservate nelle sperimentazioni cliniche sono confermate da tutti i dati osservati nella pratica clinica reale su casistiche che comprendono migliaia di pazienti. Con le terapie che abbiamo a disposizione in Italia per tutti i pazienti con infezione da HCV siamo in grado di guarire il 99% dei soggetti con infezione».

I risultati raggiunti finora costituiscono un segnale incoraggiante: «I dati delle varie regioni italiane – spiega Massimo Andreoni, professore Ordinario di Malattie Infettive all’Università di Tor Vergata a Roma, in occasione dell’evento HCV: Be Fast, Be Different”organizzato da AbbVie – permettono di evidenziare che la nostra nazione è tra i nove Paesi al mondo che potrà raggiungere l’obiettivo prefissato dall’organizzazione mondiale della sanità di ridurre del 90% le nuove infezioni e del 65% i decessi dovuti all’epatite virale entro il 2030».

Stima del sommerso dell’epatite C in Italia

Due stime sulla popolazione generale effettuate sui pazienti che accedono agli studi dei medici delle cure primarie (il medico di base) fanno ritenere che in Italia la percentuale dei pazienti nella popolazione generale con epatite C che non sa di avere l’infezione non sia superiore al 20%. Tuttavia la percentuale è molto più elevata in categorie a rischio, come i soggetti con dipendenza da sostanze. Questi non vengono sottoposti al test in maniera uniforme nelle strutture sanitarie dedicate e non hanno altre occasioni per eseguire il test negli ambienti che frequentano, come invece accade in molte realtà europee.

«Un recente studio di ricercatori dell’Istituto Superiore di Sanità – aggiunge Massimo Puoti – ha dimostrato che sarebbe economicamente conveniente sottoporre al test per l’epatite C tutti i soggetti italiani nati dal 1967 al 1987 entro il 2023 e poi sottoporre al test i nati tra il 1947 e 1967. Questa politica potrebbe essere attuata presso tutte le strutture sanitarie. Oggi, nel mondo, molte delle nuove infezioni sono trasmesse ancora attraverso lo scambio di siringa o di oggetti contaminati tra tossicodipendenti. In quest’ottica è quindi chiaro che un progetto di trattamento con l’obiettivo di eliminare l’infezione debba prevedere interventi mirati».

Epatite C in Lombardia

In Lombardia si stima che al 2014 erano seguite presso i centri ospedalieri della regione circa 40.000 persone con infezione da HCV. A marzo 2019 risultavano trattati, o in trattamento, più di 35.000 pazienti. Si può quindi ipotizzare che, entro il 2020, si riuscirà a trattare tutti quelli che risultavano in carico ai centri. 

«Rimangono da trattare i soggetti che i medici di medicina generale non hanno ancora inviato ai centri per il trattamento, i soggetti in carico ai SERT e detenuti nelle prigioni che non sono ancora stati trattati – spiega Massimo Puoti. – Inoltre, rimane da curare quella proporzione di persone con epatite C che non hanno mai fatto il test e non sanno di avere questa infezione. Una stima grossolana ci fa pensare che ci siano in Lombardia almeno 10.000 persone in questa condizione».

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