Ragionare sulla governance del farmaco in ottica aziendale, ovvero studiando profitti e perdite. Questo è stato l’approccio con cui si è cercato di parlare di sostenibilità della spesa e di governance farmaceutica durante la plenaria “Per una nuova governance farmaceutica in Italia” che si è tenuta in occasione del 58imo Simposio AFI (Associazione Farmaceutici Industria). «Abbiamo deciso di affrontare il tema della governance in ambito farmaceutico in modo diverso dal solito, ovvero guardando a profitti e perdite, come si fa in economia». Così (vedi qui la videointervista) il presidente di Farmindustria Massimo Scaccabarozzi, che ha condotto l’analisi di costi e ricavi insieme anche a Giorgio Bruno, vicepresidente AFIEnrique Häusermann, presidente AssogenericiFrancesco De Santis, presidente ItalfarmacoFrancesco Saverio Mennini, professore di Economia Sanitaria, CEIS, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”.

Massimo Scaccabarozzi, presidente Farmindustria, ha moderato la plenaria del 58imo Simposio AFI

La farmaceutica in questi anni è intervenuta positivamente per rispondere a nuovi bisogni della popolazione, tra i quali una maggiore esigenza di cure, sicurezza, welfare, crescita, lavoro dei giovani e sostenibilità del SSN. La sfida attuale è quella di rendere sostenibile l’innovazione in ambito sanitario e farmaceutico. Probabilmente per rispondere a questa esigenza è necessario rivedere il concetto di governance, provando ad avere una visione più olistica, che possa sorpassare la logica dei silos messa in campo fino ad ora.

Le entrate

Produzione farmaceutica

La produzione industriale dell’ambito farmaceutico degli ultimi otto anni è incrementata del 20% e contemporaneamente ha accompagnato quel processo di cambiamento dei mercati per cui, oltre all’incremento di produzione, è aumentato anche l’export del 77% (fonte farmindustria). Con 31 miliardi di produzione l’Italia è ormai a un’incollatura dalla Germania e secondo le proiezioni attuali la supererà entro un anno. Infatti l’Italia cresce con un ritmo del 6% annuo rispetto al 2% tedesco.

Servizi

Oltre al ricavo industriale va considerata anche come altra voce di ricavo quella derivante dai servizi, come quello ad alto valore aggiunto e impatto sociale della ricerca scientifica. L’Italia ha aumentato la propria quota di mercato in questo campo arrivando a investire 1,5 miliardi in R&S, ovvero +20% negli ultimi 3 anni, quindi più della media europea (+15%) (fonte farmindustria). Questo è stato possibile anche grazie a un panorama legislativo (credito d’imposta, patent box) che ha favorito il passaggio della ricerca nella direzione delle aziende che la svolgono in Italia.

Conto terzi

L’Italia vanta il primato in questo settore. Il conto terzi in Italia vale infatti 1,7 miliardi, ovvero il 23% del totale Ue (in tutto 7,6 miliardi), un’incidenza superiore a quella del totale dell’industria manifatturiera (13% rispetto all’Ue-28) che caratterizza il CDMO (Contract Development and Manufacturing) farmaceutico come comparto di specializzazione dell’industria in Italia. Tra il 2010 e il 2016 il fatturato delle imprese attive nel comparto è aumentato del 40% (che si confronta con lo 0,7% del totale economia), con uno sviluppo che ha toccato tutti i segmenti di attività. Gli incrementi hanno infatti interessato sia i prodotti più tradizionali (+31%) sia, soprattutto, quelli a maggior contenuto di tecnologia innovativa come gli iniettabili e le produzioni biologiche e ad alta attività (+48%) (fonte farmindustria).

Farmaci generici

La penetrazione dei farmaci equivalenti nel territorio europeo è in aumento. Le ultime stime indicano che i farmaci equivalenti rappresentano il 62% dei medicinali dispensati in Europa pur impattando solo sul 4% dei budget sanitari complessivi dell’Unione (fonte rapporto Quintiles IMS “Global Healthcare Trend and Outlook”). L’industria del mercato equivalente però ha rilevato delle difficoltà a sviluppare ulteriormente produzioni estere. Riuscire ad occupare maggiormente i mercati esteri è infatti la sfida di questo comparto, che se verrà vinta, porterà ulteriori entrate e benefici, proprio come sta accadendo grazie all’aumento dell’export delle imprese del farmaco brand.

Il valore con utilità marginale

Il valore non va confuso con il prezzo. Quando si parla di valore si introducono i concetti d’efficacia, di investimenti, di riallocazione delle risorse e d’impatto occupazionale. Per fare un esempio un nuovo farmaco, come quello per l’epatite C, porta un valore che va ben oltre all’efficacia in sé, anche in termini di prestazioni assistenziali non più erogate ai malati o di assistenza sanitaria rivolta a pazienti cornici non più necessaria. Queste sono tutte entrate che devono essere considerate se si vuole analizzare la governance in ottica profitti e perdite nella sua visione globale e non più a silos.

Le uscite

La spesa pubblica farmaceutica corrente è di circa 19 miliardi. È utile osservare questo dato conoscendone altri di contesto:

  • La spesa pubblica è cresciuta dal 2012 a oggi del 1,2% anno.
  • La popolazione è cresciuta del 0,4% e quella over 65 del 1,8%.
  • L’inflazione ha visto un aumento del 0,5%.

Quindi il costo netto della farmaceutica pubblica ha visto una crescita dal 2012 del 0,3%.

Le aziende del farmaco, inoltre, restituiscono allo Stato (payback, managment agreement, sforamento della spesa diretta ecc.) circa 2,3 miliardi all’anno, che vanno quindi considerati nella voce delle entrate.

I prossimi anni vedranno l’arrivo di oltre 7mila molecole, nuove e innovative tecnologie, sarà possibile avere cure più efficaci per patologie per cui già esiste trattamento e si affacceranno nuove cure per malattie oggi ancora non trattabili. Tutta questa innovazione in arrivo dovrà essere gestita, perché porterà evidentemente dei costi.

Il farmaco come parte di un percorso

Nel valutare tuttavia i costi, risulta indispensabile osservare il farmaco all’interno di un processo, e non più come singolo prodotto. È stato già citato il caso dell’epatite C, ma anche in campo oncologico negli ultimi anni si è registrata una diminuzione dei costi di gestione del singolo paziente dell’11%. Questo perché sebbene siano aumentati i costi dei farmaci somministrati, la loro efficacia ha fatto diminuire i costi di gestione del paziente, degli eventi avversi ecc. Proprio all’ultima riunione dell’ASCO (American Society of Clinical Oncology) sono stati presentati altri dati di ulteriore supporto. La caratterizzazione genica di alcuni tumori ha infatti permesso approcci personalizzati che hanno abbattuto notevolmente i costi generali di gestione del caso clinico.

In quest’ottica di valutazione globale i big data che abbiamo oggi a disposizione, insieme alle tecnologie di interpretazione degli stessi, potranno portare un grande apporto all’analisi della spesa sanitaria in modo olistico (costi sanitari, interventi chirurgici, esami diagnostici, farmaci ecc.). Sono in corso in tal senso due progetti pilota in ambito oncologico che stanno raccogliendo tutti i dati di pertinenza per tentare di poter studiare la materia sanitaria in questa nuova ottica.

Il finto problema degli over 65 come causa della crescita dei costi sanitari

Si parla molto del cambiamento demografico come causa dell’aumento dei costi nel comparto sanitario. Nel fare questa analisi tuttavia, ancora una volta, si rischia di trarre conclusioni errate se non si ha una visione d’insieme. Se è infatti noto che l’individuo costa al sistema sanitario di più negli ultimi sei mesi della propria vita, è altrettanto vero che pesano di più, in termini di costo, gli ultimi sei mesi di un uomo di 50 anni che di un uomo di 80. Questo perché nel primo caso si deve anche sommare la perdita di produttività, le pensioni di reversibilità, etc. Anche perché in Italia la crescita degli ultra 65enni è del 0,5% all’anno. Di questi il 10% ha comorbidità importanti, quindi l’impatto è meno dello 0,1%. Oltretutto gli ultra 65enni detengono il 35% delle risorse, e le introducono nel mercato.

Una possibile nuova ricetta di governance

  1. Riallocare le risorse risparmiate (ad esempio con l’introduzione dei farmaci equivalenti) nella farmaceutica e nell’innovazione.
  2. Porre rimedio a tre modalità errate della gestione del tetto della farmaceutica:
    • il tetto della farmaceutica non è mai stato calcolato sul fabbisogno;
    • il tetto è stato ridotto negli anni;
    • siamo l’unico Paese che ha il tetto della farmaceutica collegato alla spesa prevista sanitaria.
  3. Stimolare le aziende e le accademie a produrre più dati per capire quanto pesa una patologia dal punto di vista epidemiologico ed economico-finanziario.
  4. Informare i decisori e il nuovo governo sulla base dei dati raccolti in termini di costo-opportunità di introdurre un nuovo farmaco nel mercato.
  5. Presentare correttamente i dati di cui si è in possesso (vedi ad esempio il “caso” degli ultra 65enni).
  6. Aumentare la comunicazione tra gli stakeholders.
  7. Provare ad avere una visione e progettazione almeno quinquennale, e non annuale.