Le nuove opzioni terapeutiche per le malattie infiammatorie croniche intestinali possono esporre i pazienti ai rischi legati all’immunosoppressione.

Da un’indagine degli ospedali lombardi emerge la reale minaccia rappresentata dalle infezioni sostenute da batteri per i quali non sono disponibili adeguate terapie antibiotiche, come Clostridium difficilePseudomonas e Klebsiella pneumoniae-KPC.

Le infezioni legate alle terapie biologiche per le MICI (malattie infiammatorie croniche intestinali) richiedono un approccio multidisciplinare

Maurizio Vecchi, direttore di Unità Operativa Complessa al Policlinico di Milano e della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Digerente dell’Università di Milano ha presieduto il Second Young Gastroenterologist’s Day & “Milestones And Breakthrough In Ibd” Meeting (Milano, 12 e 13 novembre 2018)«L’ampliarsi delle opzioni terapeutiche espone potenzialmente i pazienti ai rischi legati all’immunosoppressione – dichiara Maurizio Vecchi, direttore di Unità Operativa Complessa al Policlinico di Milano e della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Digerente dell’Università di Milano. – Pertanto, la moderna gestione delle malattie si deve basare sull’impiego di team multidisciplinari, capaci di affrontare le molteplici necessità del paziente».

Le nuove terapie per le malattie infiammatorie croniche intestinali

Le terapie per le malattie infiammatorie croniche intestinali (MICI o, secondo l’acronimo inglese, IBD, Inflammatory Bowel Disease), ossia la colite ulcerosa e la malattia di Crohn, sono sempre più innovative.

«L’innovazione è legata alla potenzialità della manipolazione della flora batterica, il cosiddetto microbiota (batteri presenti nell’intestino), e all’uso delle stem cell (cellule staminali), che permettono di riparare i tessuti lesionati dall’infiammazione e dalle ulcere. Sono progetti ancora in fase sperimentale, ma alcune di queste cellule arriveranno in commercio tra non molto. In breve, ciò significa che stiamo passando dalle terapie biologiche alla manipolazione di cellule batteriche, flora batterica o cellule umane per riequilibrare lo stato infiammatorio» – afferma Maurizio Vecchi.

Cellule staminali per le malattie infiammatorie croniche intestinali

Le stem cell per la cura delle fistole perianali hanno ottenuto la registrazione in alcuni paesi europei, ma non in Italia, dove le prove della loro efficacia non sono state considerate ancora sufficienti.

Trapianto di microbiota per le malattie infiammatorie croniche intestinali

Le terapie con trapianto fecale sono in fase di sperimentazione, sino ad adesso con risultati non omogenei.

«L’entrata in commercio di queste nuove terapie dipenderà da 1) se raggiungeranno un’evidenza di efficacia sufficiente, 2) che tempi saranno necessari per svolgere gli studi adatti a queste dimostrazioni – spiega Vecchi. – In sostanza, mentre l’uso delle cellule staminali potrebbe divenire disponibile in un anno o due, probabilmente prima di avere disponibile il trapianto fecale bisognerà attendere un po’ di più».

Farmaci biologici per le malattie infiammatorie croniche intestinali

La percentuale di pazienti che vengono trattati con farmaci biologici si attesta tra il 10 e il 20%, una cifra inferiore a quella osservata in altri paesi europei forse perché in Italia si è un po’ restii a utilizzare farmaci più nuovi. I farmaci biologici permettono di ottenere una buona risposta terapeutica in una percentuale variabile tra il 50 e il 70%. Tali numeri sono elevati se si considera che i pazienti trattati sono refrattari alle altre terapie.

Rischio infettivo legato all’uso di farmaci biologici per le malattie infiammatorie croniche intestinali

I farmaci biologici interagiscono con il sistema immunitario e quindi espongono i pazienti a potenziali rischi infettivi, sempre comunque rilevanti in ambito gastroenterologico.

«I fenomeni di trasferimento dei batteri dovuti alle patologie gastroenteriche possono provocare malattie infettive anche sistemiche» – spiega Andrea Gori dell’Università di Milano e Direttore di Unità Operativa Complessa al Policlinico di Milano. In altri termini, i batteri attraversano la mucosa intestinale e raggiungono altri organi. I nuovi farmaci devono essere dunque sottoposti a uno stretto monitoraggio da parte dello specialista infettivologo.

Sono state registrate infatti nuove infezioni o il riacutizzazioni di forme rare, come il clostridium difficile, in pazienti che hanno assunto questo tipo di farmaci, o lo sviluppo di infezioni sistemiche sostenute da germi multi-farmaco resistenti.

«L’antibiotico resistenza è una delle emergenze sanitarie di questi anni e la gastroenterologia non fa eccezione. È il caso dei batteri Pseudomonas o Klebsiella pneumoniae-KPC, per i quali attualmente non c’è una terapia antibiotica adeguata. Se si dovesse, quindi contrarre, metterebbe a rischio di vita il paziente. In Lombardia, la prevalenza di colonizzazione dell’anno 2017 è risultata globalmente di 1,5 pazienti su mille ricoveri. Nel momento in cui ci approcciamo a curare i pazienti con nuovi farmaci biologici bisogna tenere in conto questa eventualità. Ogni paziente deve essere dunque sottoposto a screening prima di ricevere terapie innovative per capire se rischiano di sviluppare infezioni gravi» – aggiunge Andrea Gori.

Diffusione delle infezioni negli ospedali lombardi

Nel 2017 l’incidenza globale delle infezioni è stata di 7,0 (IR 5,71-8,74)/100.000 gg-paziente, con una variabilità di incidenza molto elevata tra i vari Centri. Il tasso di incidenza minore è stato di 1,82 (IR 0,59-4,24) /100.000-gg paziente quello maggiore di 16,81 (IR 11,24-22,37)/100.000-gg paziente.

Considerando i vari reparti, quelli con incidenza maggiore di infezione sono risultati:

  • terapia intensiva 50/100.000 gg/persone (IR 30,19-69,12),
  • geriatria 28/100.000 gg/persone (IR 7,52-70,65),
  • terapie sub-intensive 19/100.000 gg/ persone (IR 2,28-68,21),
  • malattie infettive 12,08 (3,92-28,2)/100.000 gg/persone.

La prevalenza di colonizzazione su 1.000 ricoveri dell’anno 2017 è risultata globalmente di 1,43 (CI 1,25-1,63) con la prevalenza più alta pari a 3,18 (CI 2,49-3,91) e quella più bassa di 0,53 (CI 0,32-077). La prevalenza di infezione è risultata di 0,85 (CI 0,7-1) con variabilità tra 2,09 (CI 1,53-2,69) e 0,41 (CI 0,19-0,67).

Recenti studi sugli ospedali relativi all’incidenza della malattia correlata a infezioni sostenute da patogeni gram negativi multi-farmaco resistenti hanno mostrato risultati inquietanti: negli ultimi due anni, la diffusione di questi agenti patogeni rappresenta un problema di contenimento di diffusione di infezione molto grave.

Acquisire un’infezione nosocomiale da Klebsiella pneumoniae-KPC si ripercuote sui costi della degenza ospedaliera: aumentano infatti i costi legati alla gestione del paziente (materiale dedicato, dispositivi di protezione individuale), necessità di isolamento con conseguente riduzione o chiusura dei letti, incremento della spesa per gli antibiotici necessari per il trattamento dell’infezione, potenziali successive complicanze nosocomiali e incremento della durata della degenza ospedaliera.

Diffusione delle malattie infiammatorie croniche intestinali

In Europa, secondo i dati ufficiali, oltre due milioni di persone sono affette da colite ulcerosa o da malattia di Crohn.

In Italia si stima che tra le 200.000 e le 250.000 persone abbia una malattia infiammatoria cronica intestinale.

I dati sulle esenzioni mostrano che probabilmente in Lombardia ci sono circa 40.000 pazienti affetti da colite ulcerosa e/o malattia di Crohn.

«Questa stima è molto superiore a quella precedente di 26.000 soggetti – dichiara Maurizio Vecchi. – Per questo deve essere valutata con cautela: l’incremento di queste patologie sembrerebbe davvero eclatante. Le malattie infiammatorie croniche intestinali presentano delle difficoltà diagnostiche e terapeutiche. Tuttavia, sono in corso grandi innovazioni. La cosiddetta ricerca traslazionale ha fatto in modo che dal banco di laboratorio si portassero al letto del malato dei farmaci con efficacia davvero notevole».

In passato, infatti, queste malattie registravano una mortalità superiore a quella della popolazione generale. Oggi il rischio di mortalità si è ridotto grandemente e non è più differente da quello dei soggetti di controllo.

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