Le criticità legate al processo di open publishing, che ha preso piede negli ultimi decenni quale modalità per favorire l’accesso ai risultati della ricerca (in particolare quella finanziata da fonti pubbliche), sono state oggetto di una nota pubblicata dalla , European Federation of Academies of Sciences and Humanities (ALLEA).

Il problema, in particolare, sarebbe legato agli elevati profitti realizzati dagli editori commerciali grazie al modello “gold” di open publishing, in cui gli autori pagano delle tariffe per la lavorazione e pubblicazione degli articoli (APCs), che diventano così subito leggibili in modo gratuito non appena pubblicati, invece che richiedere un abbonamento alla rivista. 

In molti casi, queste tariffe (spesso anche di migliaia di euro) sono parte integrante degli accordi di partnership stretti da università, istituzioni e consorzi di ricerca con i grandi editori. Ove tali accordi non siano in essere, i costi ricadono direttamente sulle spalle dei ricercatori che vogliono pubblicare i propri risultati. Il mercato degli APC sarebbe così fiorente che, secondo Allea, frutterebbe agli editori circa 2 miliardi di dollari l’anno. Un nuovo modello di business che va in parte sostituendo quello degli abbonamenti tradizionali sottoscritti dalle librerie, e che ha permesso ai grandi editori di rafforzare la propria posizione dominante nel settore delle pubblicazioni accademiche e di (come si legge nella nota) “solidificare il loro ruolo come gatekeeper della ricerca finanziata da fonti pubbliche”. 

Sono molti i profili che, secondo Allea, potrebbero creare una disciminazione tra i ricercatori che ricadono negli accordi trasformativi per il pagamento degli APC, e chi invece deve aprire il proprio portafoglio. Il problema riguarderebbe in particolare i ricercatori che ricevono minori finanziamenti (ad esempio nel campo delle scienze umane e sociali), quelli a inizio carriera o chi operi nei paesi meno ricchi.

Allea si dice anche preoccupata che gli accordi riflettano davvero la legislazione europea sul diritto di autore, secondo cui gli autori dei lavori scientifici sono i detentori dei diritti sugli articoli pubblicati. I diritti possono venire ceduti o dati in licenza all’editore, ricevendo  per questo un’appropriata remunerazione. Remunerazione che sarebbe assente, secondo Allea, nella maggior parte dei “big deal”, che anzi invertono la direzione e chiedono ad autori e istituzioni di pagare gli APC per pubblicare gli articoli. Sotto la lente di Allea sono finite anche le limitazioni ed eccezioni al diritto di autore che possono essere decise dagli stati membri. Tra questi, ad esempio, vi è la possibilità di inserire gli articoli in appositi archivi open access in nome dei diritti secondari di pubblicazione, dopo lo scadere di un certo periodo di embargo. A seconda del paese, tale possibilità può essere riferita al solo “Author Accepted Manuscript”, ovvero estendersi anche alla versione andata in stampa (“Version of Record”). Per Allea, l’embargo richiesto dagli editori rappresenterebbe un impedimento ingiustificato alla puntuale diffusione dei risultati della ricerca di fonte pubblica, e sarebbe piuttosto preferibile l’adozione di modelli alternativi come il“Journal Comparison Service” di cOAlition S. 

Le raccomandazioni di Allea indicano la necessità di negoziare meglio gli aspetti contrattuali relativi al copyright degli articoli, l’uscire dall’attuale modello di assegnazione dei diritti per passare a piattaforme multiple e in competizione tra loro, gestite direttamente dalla comunità scientifica, e armonizzare la legislazione a livello europeo per rendere possibile la pubblicazione delle versioni post-print senza embargo. Le istituzioni impegnate nella ricerca e gli enti finanziatori, infine, dovrebbero impegnarsi in via prioritaria nella messa a punto di nuove piattaforme non-profit di pubblicazione, di modo da ridurre le barriere di tipo finanziario alla pubblicazione open access ed evitare la deprivazione di importanti risorse da parte del settore privato.