Porta la firma di due gruppi di ricerca del Dipartimento di Bioscienze dell’Università Statale di Milano, coordinati rispettivamente da Marco Nardini e da Graziella Messina, l’articolo che descrive la prima determinazione della struttura tridimensionale della proteina NFI-X, un importante fattore di trascrizione, nel suo stato libero e in quello legato al DNA.
La ricerca è stata pubblicata su Nature Communications e ha visto l’applicazione di un approccio integrato che combina tecniche avanzate di biochimica e biologia strutturale, tra cui la crio-microscopia elettronica a singola particella. È stato in questo modo possibile definire con precisione atomica non solo la struttura della proteina NFI-X, ma anche i meccanismi molecolari con cui essa riconosce il proprio sito di legame sul DNA e forma il complesso necessario per attivare la trascrizione genica.

Un risultato di grande rilievo
La risoluzione della struttura della proteina NFI-X rappresenta un fondamentale avanzamento della ricerca nel campo delle proteine della famiglia Nuclear Factor I (NFI), in quanto consente d’interpretare in modo unificato decenni di dati cellulari e biochimici raccolti in tutto il mondo.
Le proteine NFI svolgono ruoli cruciali nella replicazione del DNA adenovirale, nella regolazione dell’espressione genica e nel controllo della proliferazione e differenziazione delle cellule staminali. Alterazioni della loro funzione sono implicate in processi di sviluppo, patologie tumorali e in numerosi disturbi congeniti. Tra i diversi membri della famiglia, NFI-X è particolarmente rilevante per la biologia delle cellule staminali neurali, la formazione delle cellule del sangue, lo sviluppo e la rigenerazione muscolare, le distrofie muscolari e l’oncogenesi.
La struttura di NFI-X ricavata dai ricercatori dell’Università Statale può essere considerata rappresentativa anche degli altri fattori della famiglia NFI, pur mantenendo ciascuno funzioni biologiche specifiche.
“La conoscenza dettagliata dell’architettura tridimensionale di NFI-X apre ora la strada all’identificazione di molecole in grado di modularne l’attività, con potenziali ricadute sulla biologia delle cellule staminali, sulle distrofie muscolari e sullo sviluppo di nuove strategie terapeutiche contro il cancro” hanno commentano i ricercatori.
Il risultato ottenuto è frutto di un progetto di ricerca pluriennale che ha coinvolto una ventina di ricercatori, con collaborazioni trasversali fra il dipartimento di Bioscienze e i dipartimenti di Chimica, di Fisiopatologia medico-chirurgica e dei trapianti, di Scienze per gli alimenti, la nutrizione e l’ambiente dell’Ateneo, oltre che con il sincrotrone Elettra di Trieste.







