Frederic Rousseau e Joost Schymkowitz (credits: VIB-Ine Dehandschutter)

La solubilità dei farmaci biotech è un parametro fondamentale nella valutazione di un loro effettivo impiego terapeutico. La solubilità di una proteina ottenuta per via biotecnologica, oltre a poter risultare diversa da quella dell’analoga macromolecola naturale a causa delle diverse modifiche post-traslazionali e delle operazioni di purificazione, deve spesso spesso essere di parecchi ordini di grandezza maggiore rispetto alle concentrazioni riscontrabili in natura per poter garantire l’adeguato dosaggio del farmaco. Una richiesta che si potrebbe scontrare con la solubilità derivante dalla mera considerazione della sequenza aminoacidica primaria della proteina. Particolarmente complesso è il caso delle proteine globulari, in cui il core idrofobico contiene elementi della struttura secondaria responsabili della formazione delle cosiddette “aggregation prone amino acid sequences” (APRs).

Un articolo pubblicato su Nature Communications suggerisce la possibilità di migliorare la solubilità delle proteine naturali utilizzate per scopi biofarmaceutici, senza modificarne la funzione e la stabilità, tramite l’introduzione di una mutazione che sopprima le regioni APRs.

Frederic Rousseau e Joost Schymkowitz (credits: VIB-Ine Dehandschutter)
Frederic Rousseau e Joost Schymkowitz (credits: VIB-Ine Dehandschutter)

I ricercatori belgi del VIB – Flanders Interuniversity Institute for Biotechnology di Lovanio hanno trovato una correlazione inversa tra le APRs della proteina e la sua solubilità. “L’aggregazione è un collo di bottiglia nel processo di produzione delle proteine che si intende utilizzare come prodotti biotech, ad esempio come farmaci – ha dichiarato uno dei direttori del VIB/KU Leuven, Joost Schymkowitz -. Utilizzando i nostri algoritmi possiamo migliorare la solubilità delle proteine apportando modifiche minori alla loro composizione amminoacidica primaria. Ciò non solo velocizza di molto la produzione e lo sviluppo dei biologici e degli enzimi, ma permette anche di utilizzare proteine che finora erano troppo insolubili per risultare di utilità”.

Migliorare la solubilità

Le proteine sono macromolecole biologiche complesse contenenti amminoacidi idrofili o lipofili, la cui disposizione nello spazio tridimensionale svolge un ruolo fondamentale nel determinare la funzionalità, la stabilità e la solubilità. L’interazione, anche a distanza, dei vari residui dà luogo al ripiegamento della sequenza in zone con pattern caratteristici, quali alfa-elica e foglietti beta tipici della struttura secondaria, e alla formazione della struttura tridimensionale terziaria della proteina.

I siti prescelti per l’introduzione della mutazione individuati nello studio belga (i cosiddetti hot spot) dipendono sia dalla struttura che dalla sequenza della proteina e possono essere predetti tramite modelling molecolare. La sperimentazione è stata condotta sulla beta-galattosidasi, una proteina utilizzata per il trattamento della malattia di Fabry, e su una proteina del bacillo dell’antrace facente parte del vaccino contro questo microrganismo. L’analisi computazionale di un gran numero di strutture proteiche ha permesso anche di verificare che molte proteine posseggono hot spot simili che potrebbero venire usati per migliorarne la solubilità.

Abbiamo già collaborazioni con l’industria farmaceutica per integrare il nostro metodo nelle pipeline di sviluppo dei nuovi farmaci. Speriamo, in questo modo, di contribuire a una nuova classe di farmaci proteici”, ha dichiarato l’altro dirigente del VIB/KU Leuven, Frederic Rousseau.