La schizofrenia è un disordine mentale cronico caratterizzato da sintomi psicotici con alterazione del comportamento e dell’affettività. In questa patologia, i segni perdurano oltre i sei mesi e hanno una gravità tale da limitare le normali attività.

Il termine schizofrenia indica “scissione delle funzioni mentali” e non sdoppiamento della personalità. Non si tratta, infatti, di un disturbo di personalità multipla che invece si presenta in alcune sindromi dissociative.

La distorsione della percezione compromette la capacità mentale e il senso di individualità della persona, la sua risposta affettiva e la capacità di riconoscere la realtà, di comunicare e di relazionarsi con gli altri.

La schizofrenia è uno dei disturbi psichiatrici più complessi e meno compresi. Nella maggior parte dei casi, ha un forte impatto dal punto di vista sociale, affettivo e cognitivo. È definita come una condizione cronica e debilitante, a causa del progressivo deterioramento funzionale che in genere determina. La progressione può avvenire attraverso diverse fasi di durata e con caratteristiche variabili:

  • premorbosa: può essere asintomatica o manifestarsi con lievi deficit delle competenze sociali, di coping, delle competenze sociali, anedonia e alterazione percettiva, disorganizzazione cognitiva,
  • prodromica: può esordire in modo lento e insidioso o acuto. Possono emergere sintomi subclinici come irritabilità isolamento,
  • centrale: è la fase della manifestazione sintomatica. Può comprendere esacerbazioni e remissioni o svilupparsi come un peggioramento continuo dei deficit funzionali. Ogni nuovo episodio psicotico aumenta il rischio di episodi successivi. Le recidive si verificano nella maggior parte dei pazienti e rappresentano la difficoltà principale nella gestione della malattia,
  • tardiva: in questa fase la malattia può stabilizzarsi o migliorare.

Classificazione della schizofrenia secondo l’OMS

La schizofrenia, come gli altri disturbi mentali, è descritta nel capitolo V della classificazione statistica internazionale delle malattie e dei problemi di salute correlati, decima revisione, versione 2010, dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

I tipi di schizofrenia individuati dall’OMS comprendono:

  • paranoide: presenta prevalentemente sintomi positivi (allucinazioni soprattutto uditive e deliri) ad esordio acuto,
  • ebefrenico o disorganizzato: determina comportamento irresponsabile e imprevedibile discorsi incoerenti, tendenza all’isolamento e appiattimento affettivo dovuti spesso ad allucinazioni fugaci e frammentarie,
  • catatonico: dominato da disturbi psicomotori che alternano ipercinesi e catatonia connessa ad allucinazioni visive,
  • indifferenziato: presenta sintomi non strutturati secondo i criteri degli altri tipi,
  • residuo: compare spesso come esito di un disturbo psichico maggiore lasciando sintomi negativi prevalenti (passività povertà di linguaggio verbale e non verbale, scarsa cura di sé e dei rapporti sociali),
  • semplice: le caratteristiche negative della schizofrenia residua compaiono in modo insidioso e progressivo senza essere precedute da sintomi psicotici.

Diffusione e impatti della schizofrenia

«Secondo le stime dell’OMS, più di 21 milioni di persone al mondo soffrono di schizofrenia; in Italia sono circa 300.000, secondo uno studio condotto con la collaborazione dell’Università di Tor Vergata. Da tenere presente che le persone affette da schizofrenia hanno una mortalità più del doppio rispetto alla popolazione generale» spiega Alberto Siracusano, professore ordinario di Psichiatria Università degli Studi di Roma Tor Vergata, direttore U.O.C. Psichiatria e Psicologia Clinica Fondazione Policlinico Tor Vergata e direttore del Dipartimento di Neuroscienze Fondazione Policlinico Tor Vergata.

«La schizofrenia nel nostro Paese ha un forte impatto economico: il costo totale generato da costi diretti e indiretti è pari a circa 2,7 miliardi di euro. Di questi circa il 50,5%, è costituito da costi indiretti, non direttamente imputabili alla patologia, mentre solo il restante 49,5% è generato da costi diretti, ovvero i costi di ospedalizzazione (compresa la residenzialità e l’assistenza domiciliare), della terapia farmacologica e degli altri trattamenti. È interessante notare che tra i costi diretti, il trattamento farmacologico pesa solo per il 10%, mentre l’80% circa è dato dai costi di ospedalizzazione, residenzialità e assistenza domiciliare» – conclude Alberto Siracusano.

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