Con l’obiettivo di diagnosticare precocemente la patologia per evitare gravi disabilità ai pazienti che ne sono colpiti, è stato siglato un importante accordo di ricerca fra l’Istituto di Biomedicina ed Immunologia Molecolare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IBIM-CNR) di Palermo, guidato da Giovanni Duro e la filiale italiana di Genzyme, società del Gruppo Sanofi, impegnata nello sviluppo e nella commercializzazione di soluzioni terapeutiche per il trattamento di gravi malattie ancora prive di una risposta clinica adeguata.

Il progetto dal titolo “Studio delle alterazioni genetiche in pazienti con una diagnosi clinica di Febbre Mediterranea Familiare: possibile misdiagnosi” si propone di analizzare nei prossimi due anni il profilo genetico di circa 800 pazienti della popolazione italiana che ha avuto una diagnosi di Febbre Mediterranea Familiare. Questo perché i sintomi di questa particolare patologia con febbri ricorrenti e dolori addominali ad eziologia sconosciuta, sono, soprattutto nell’età giovanile, molto simili a quelli della rara Malattia di Anderson-Fabry. Lo studio coinvolgerà circa 15 centri italiani soprattutto nel sud Italia dove la Febbre Mediterranea Familiare è particolarmente diffusa.

Un progetto pilota dello stesso Giovanni Duro, pubblicato recentemente sulla rivista internazionale Clinical Genetics, aveva infatti già dimostrato che in un campione di 42 pazienti con diagnosi clinica di Febbre Mediterranea Familiare, 3 presentavano in realtà una mutazione nel gene responsabile della Malattia di Anderson-Fabry (Zizzo et al., 2013).

«Per i pazienti Fabry, la diagnosi clinica arriva spesso diversi anni dopo rispetto alle prime manifestazioni, sia per il quadro clinico multisistemico, sia per l’età di esordio particolarmente variabile, sia per la diversa severità di progressione – spiega Duro – Studi retrospettivi hanno rilevato un ritardo considerevole nella diagnosi della Malattia di Fabry in circa il 40% dei pazienti maschi e il 70% delle femmine (Lidove et al., 2012). In particolare, dall’insorgenza dei primi sintomi alla corretta diagnosi passano mediamente 13 anni per gli uomini e 17 per le donne (Hoffmann e Mayatepek, 2009). Anni persi e che sarebbero stati importanti non solo ovviamente dal punto di vista diagnostico, ma anche e soprattutto dal punto di vista terapeutico dal momento che è oramai accertato che quanto prima viene fatta la diagnosi di Fabry tanto maggiore è il successo terapeutico».

Aggiunge e conclude Giovanni Duro: «Una sospetta diagnosi della Malattia di Fabry deve essere dedotta dal quadro clinico individuale del paziente ed essere inclusa fra le ipotesi diagnostiche in tutti i casi in cui i soggetti presentano decorsi clinici “sistemici”. Quando viene identificato un paziente con la malattia è inoltre indispensabile estendere lo studio ai familiari, in modo da individuare altri soggetti affetti che potrebbero non aver ancora manifestato segni e sintomi chiari».