L’obesità sta aumentando drammaticamente in tutto il mondo, anche tra le generazioni più giovani. Con essa cresce il numero di soggetti colpiti da patologie cardiovascolari, diabete e altre condizioni associate all’eccesso di peso corporeo. Per fare il punto sulle conoscenze e la pratica clinica per prevenire e trattare l’obesità e le malattie correlate, prima tra tutte la sindrome metabolica, i massimi esperti in medicina interna, nefrologia, diabetologia, cardiologia, geriatria e altre specialità, si sono confrontati a Torino durante il convegno “Obesity and related diseases”, organizzato da Università degli Studi di Torino e Fondazione Internazionale Menarini.

Paolo Cavallo Perin, docente di Medicina interna all’università di Torino e presidente del convegno spiega: «Nonostante molti aspetti della sindrome metabolica restino ancora da definire, forse la sua caratteristica più importante è il fatto che questi disordini metabolici sono utili per identificare soggetti ad alto rischio di malattie cardiovascolare e di diabete mellito tipo 2 in cui si verifica un progressivo aumento della prevalenza dell’obesità. La sindrome metabolica è infatti una condizione clinica in cui alterazioni metaboliche ed emodinamiche si associano a un aumentato rischio cardiovascolare. Le componenti della sindrome metabolica includono l’obesità viscerale, l’ipertensione arteriosa, la dislipidemia, l’insulino-resistenza/iperlinsulinemia, la microalbuminuria: tutti questi fattori sono implicati. Il danno vascolare che si manifesta a livello renale inducendo malattia renale cronica progressiva porta a un aumento del rischio di malattia cardiovascolare, intesa come infarto del miocardio, ictus, scompenso cardiaco congestizio».

La sindrome metabolica si manifesta sia nella popolazione adulta sia in età infantile, con la conseguenza che per la prima volta nei paesi ricchi si rischia di assistere a un’inversione di tendenza rispetto a quanto è avvenuto nel corso degli ultimi decenni: l’aspettativa di vita dei nostri figli potrebbe diventare più breve rispetto alla nostra. Questo soprattutto perché la quantità di cibo a disposizione è globalmente aumentata. Nel 1961, la quantità giornaliera di calorie disponibile era di 2.300 a persona, valore che è salito a 2.800 nel 1998 e che potrebbe superare 3.000 entro il 2015. L’ambiente in cui le persone vivono spesso scoraggia l’attività fisica, se si considera che, in Europa, la metà degli spostamenti in automobile copre distanze inferiori ai cinque chilometri.

«Secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, gli adulti in sovrappeso (considerando come soglia un indice di massa corporea uguale o superiore a 25) sono più di un miliardo, di cui almeno 300 milioni sono clinicamente obesi (indice di massa corporea uguale o superiore a 30). Questa sorta di epidemia desta particolare preoccupazione per l’elevata morbilità a essa associata, specie di tipo cardiovascolare. Chi pesa il 20% in più del proprio peso ideale aumenta del 25%, rispetto alla popolazione normopeso, il rischio di morire di infarto e del 10% quello di morire di ictus. Ma se il peso supera del 40% quello consigliato, il rischio di morte per qualsiasi causa aumenta di oltre il 50%, per ischemia cerebrale del 75% e per infarto miocardico del 70%. In queste condizioni anche la mortalità per diabete aumenta del 400%» conclude Perin.