Alessandro Sidoli
Alessandro Sidoli

Un comparto resiliente, quello del biotech, caratterizzato da numeri d’assoluta eccellenza su scala europea e da enormi prospettive di sviluppo

Roberto Carminati

Secondo quanto è emerso dal Rapporto sulle biotecnologie in Italia che Assobiotec – Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Federchimica – ha realizzato e pubblicato in collaborazione con Ernst & Young, il settore biotecnologico nazionale sta resistendo alle bufere della crisi e può consolidarsi ancora. L’indagine ha mostrato come l’industria coinvolga nel Paese ben 422 imprese impegnate in attività di ricerca e sviluppo a elevato valore aggiunto e abbia generato nel 2012, anno al quale fanno riferimento i numeri del Rapporto, un fatturato totale superiore ai 7 miliardi di euro. Alle aree di research & development esse hanno destinato budget pari a 1,5 miliardi in crescita dell’1% rispetto all’anno precedente; impiegandovi oltre 6.500 addetti complessivi. Questi ultimi hanno subito una flessione da un punto percentuale nel periodo esaminato nel solo segmento del pure biotech, entro il quale hanno patito un ridimensionamento (-1,1%) le risorse per l’innovazione. Tali risorse continuano però a incidere per il 31% sul volume d’affari complessivo del panorama; contro il 21% attribuibile invece in linea generale alla farmaceutica. Quanto allo spaccato delle 422 protagoniste del business, esso vede in posizione di preminenza le realtà concentrate sulle biotecnologie della salute che sono 241 e rappresentano perciò il 57% del campione. 94 marchi sono specializzati nell’alimentare e 64 nel comparto della genomica-proteomica e delle tecnologie abilitanti. 69 e 58 rispettivamente sono le società delle biotecnologie industriali e delle applicazioni multi-core. Importante è mettere in evidenza che con le sue 264 aziende il biotech puro italiano si posizioni immediatamente a ridosso di quello tedesco, 428 imprese; e britannico (309). «È la fotografia di un settore che tiene – ha detto a NCF il presidente di Assobiotec Alessandro Sidoli – nonostante la drammatica crisi degli ultimi anni e la cronica assenza di provvedimenti per sostenere la ricerca e lo sviluppo e per tutelare i prodotti innovativi. Ma sono certo che, in linea con quanto si è verificato negli ultimi dieci anni, le biotecnologie italiane continueranno a crescere in termini di volume d’affari e creazione di nuova occupazione». Pur guardando con ottimismo all’avvenire il numero uno associativo ha ben chiare quali siano e saranno le criticità da affrontare e ha ben presenti le possibili strategie per superarle con successo.

Quali spunti Le ha fornito, in quest’ottica, l’Assemblea nazionale, presidente Sidoli?

La condivisione che al nostro Paese servono più formazione, un sistema universitario capace di trasferire le conoscenze enormi che racchiude, ma serve soprattutto un piano strategico per le biotecnologie, indispensabile per permettere all’Italia di primeggiare nell’alta innovazione. La posizione da primato delle imprese nazionali e l’eccellenza dei ricercatori attivi nel nostro settore, purtroppo, non riescono ancora a tradursi in sviluppo industriale, nella creazione di posti di lavoro e in un incremento del Prodotto interno lordo. Ritengo che questo sia un dato drammatico che conferma l’impressione di una progressiva perdita di competitività del nostro sistema-Paese.

C’entrano le piccole dimensioni dei nostri player e sono perciò auspicabili acquisizioni estere?

Su questo punto occorre fare chiarezza. In realtà, le attività in biotecnologia – in particolare al livello della ricerca e sviluppo – sono caratterizzate da una relativamente bassa intensità di capitale, perlomeno nelle loro fasi iniziali. Perciò la struttura industriale italiana, la cui ossatura è costituita tipicamente da piccole e medie imprese, è particolarmente idonea a priori alla crescita dell’imprenditoria biotecnologica ed è spesso organizzata in aree territoriali con vocazione specifica, flessibile e capace di inserirsi nel mercato internazionale, come già ampiamente dimostrato dai livelli di eccellenza raggiunti in una varietà di nicchie produttive. Il nostro Paese offre un’inclinazione naturale del suo modo di fare impresa alla linea di tendenza in atto nell’ambito dell’industria biotecnologica, dove gli imponenti fenomeni di acquisizione, fusione e quindi in ultima analisi di concentrazione delle imprese operanti nei settori produttivi tradizionali intersecati dall’innovazione biotecnologica, ai quali abbiamo assistito anche di recente, si sono accompagnati alla diffusa creazione di nuove piccole realtà imprenditoriali dalla vocazione specialistica. Queste piccole società nascono intorno a una idea di business vincente e tendono a occupare segmenti di sviluppo e anche di mercato difficilmente appetibili per le grandi società, oppure svolgono attività di ricerca e di sviluppo di potenziale interesse per le più grandi imprese.

In che misura possono dirsi esemplari i casi delle aziende intervenute all’assise di Assobiotec?

I casi che sono stati presentati nel corso della nostra Assemblea, ovvero quelli di Eos, Gentium e Intercept, sono paradigmatici perché confermano l’eccellenza della ricerca biofarmaceutica nel nostro Paese e dimostrano la straordinaria capacità dei nostri manager e dei nostri imprenditori di attrarre capitali dall’estero e di trasformarli in ulteriore valore, dopo aver sviluppato prodotti e tecnologie innovative. Testimoniano la vitalità del nostro settore, caratterizzato da una continua capacità innovativa e da start up che vivono di ricerca. Il settore, però, mostra al di là di questi casi di avere ancora enormi problemi nella raccolta di investimenti da parte dei venture capital, visto che complessivamente nel corso del 2012 le imprese italiane hanno raccolto solo l’1,6% degli investimenti complessivi dei venture capital in tutta Europa, a fronte del 27,7% delle imprese della Gran Bretagna, dell’11,7% delle aziende francesi e del 10,5% che è appannaggio di quelle tedesche.

A che punto è invece la notte delle relazioni fra università e imprese in ambito biotecnologico?

In tutti i Paesi industrializzati i governi sostengono le attività di ricerca e sviluppo attraverso una serie di contributi fiscali, che vanno dal credito d’imposta per le spese in R&S certi, selettivi e stabili nel tempo, con aliquote adeguate per la ricerca in house; alla detassazione o riduzione degli utili derivanti dalla cessione di diritti di proprietà intellettuale; fino al riconoscimento alle imprese ad alta tecnologia dello status di Impresa innovativa, favorendo quelle che maggiormente investono e creano appunto innovazione. Da noi queste misure sono carenti e inoltre sono ancora troppi i crediti per finanziamenti di ricerca che le nostre aziende hanno nei confronti della Pubblica amministrazione. Occorre un migliore rapporto tra università e industria che passa per una profonda revisione del sistema di trasferimento tecnologico presente in Italia. Per esempio, noi riteniamo che un ufficio unico sul territorio nazionale, molto specializzato, costituisca un deciso miglioramento.

Quali segnali ritiene che stiano giungendo in questo senso dall’esecutivo nazionale in carica?

Sono convinto che l’attuale governo abbia compreso l’estrema rilevanza dell’innovazione biotecnologica non soltanto in vista della crescita economica del Paese ma soprattutto per la nostra possibilità di rispondere alle sfide che ci pone l’attuale fase storica: la crescita della popolazione e la maggiore richiesta di medicinali e alimenti che a essa è inevitabilmente legata. Mi permetta di dire che abbiamo davvero enormemente apprezzato, e accettato con grande piacere, l’invito fattoci durante l’Assemblea dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, a lavorare insieme per «garantire cure sempre migliori all’interno di un sistema che sia reso sostenibile», come il ministro ha detto.

Quanto coincidono, e dove divergono, strategie e aspettative di farmaceutica e biotech?

Nel 2014, dei primi 100 farmaci venduti, 50 saranno di origine biotecnologica (+22% sul 2008). Le vendite di farmaci biotech aumenteranno del 6% e il loro valore complessivo del 56%. Il biotech può indicare un modello di business all’industria farmaceutica: un’attività R&S innovativa, mirata ai reali bisogni clinici non soddisfatti, terapie personalizzate, studi registrativi di superiorità, task force di ricerca in collaborazione col sistema di ricerca pubblica, università e spin-off, organizzazioni no-profit e imprese in fase di start-up. Ciò porterà al superamento del modello tradizionale basato sulla ricerca di blockbuster, su studi registrativi di non inferiorità e sui farmaci me too (me too drugs).

Assobiotec Award

Il presidente di Assobiotec Alessandro Sidoli, a sinistra, consegna allo scienziato e scrittore Edoardo Boncinelli lo Assobiotec Award 2014 durante l’ultima Assemblea nazionale della sigla
Il presidente di Assobiotec Alessandro Sidoli, a sinistra, consegna allo scienziato e scrittore Edoardo Boncinelli lo Assobiotec Award 2014 durante l’ultima Assemblea nazionale della sigla

L’Assemblea di Assobiotec è stata anche l’occasione in cui si è svolta la cerimonia di consegna dell’annuale Assobiotec Award, premio istituito da Assobiotec nel 2008 per dare un riconoscimento alle personalità e agli enti che si sono particolarmente distinti nella promozione dell’innovazione, della ricerca scientifica e del trasferimento tecnologico nel settore delle biotecnologie.

L’Assobiotec Award 2014 è stato assegnato allo scienziato e scrittore Edoardo Boncinelli. Tra le motivazioni del premio: l’attività di ricerca nel campo della genetica e della biologia dello sviluppo; l’intesa attività di saggista e divulgatore scientifico, volta a stimolare l’interesse per la cultura scientifica, mediante libri e pubblicazioni, rendendola accessibile e apprezzabile dal grande pubblico.