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Il consumo di dolcificanti artificiali può aumentare il rischio di sviluppare una condizione di intolleranza glucidica o ‘prediabete’. Lo rivelano due studi, uno condotto sull’uomo e uno su animali da esperimento pubblicati su Nature.

Questi studi dimostrano che i dolcificanti, come qualunque alimento,  possono alterare la flora batterica intestinale. Il microbiota (la flora batterica intestinale) gioca un ruolo importante nel condizionare l’omeostasi glucidica e vari processi endocrino-metabolici. La produzione di sostanze variamente modificate nelle cellule dell’intestino o al suo interno può esercitare un’azione deleteria sia sulle cellule pancreatiche alfa (produttrici di glucagone) e beta (produttrici di insulina) sia sul livello di sensibilità dei diversi organi (fegato, muscolo, cervello) all’insulina.

“Non è il caso alimentare il panico tra la gente e neanche tra le persone con il diabete – afferma il professor Enzo Bonora, Presidente della Società Italiana di Diabetologia – anche se certo questi sono studi importanti, pubblicati da una rivista prestigiosa, come Nature”. Anzi, come afferma il professor Giorgio Sesti, Presidente Eletto della Società Italiana di Diabetologia “Il lavoro pubblicato su Nature apre a nuove prospettive terapeutiche nel campo dell’intolleranza glucidica  e del diabete nell’uomo. In particolare, apre il campo a interventi di tipo nutrizionale (selezione di antibiotici non iperglicemizzanti) e farmacologici (antibiotici intestinali per la selezione dei batteri ‘giusti’). Il danno dei dolcificanti a livello del metabolismo è dovuto a una selezione sfavorevole dei batteri intestinali; questo farebbe supporre che, attraverso modificazioni dietetiche, impiego di probiotici e, in futuro, ricorso ad antibiotici intestinali sarà forse possibile prevenire il diabete, ma certamente non curarlo”.

“La Società Italiana di Diabetologia (SID) – continua Enzo Bonora – non ha mai raccomandato l’uso dei dolcificanti al posto dello zucchero, perché piccole quantità di quest’ultimo non sono bandite dalla dieta persona con diabete. I risultati di questo studio confortano la nostra posizione”.