La vita sintetica è fiorita nei laboratori californiani del J. Craig Venter Institute (JCVI): JCVI-syn3.0 è il primo batterio sintetico, caratterizzato da un corredo minimo di materiale genetico di 473 geni (pari a 531,560 coppie di basi di DNA) che ne permette la crescita in vitro. Il batterio artificiale è la più piccola forma di vita coltivabile in laboratorio; circa un terzo dei suoi geni (149) hanno una funzione biologica ancora sconosciuta. Tanto per fare un paragone, il corredo genomico umano conta circa 3,2 miliardi di coppie di basi di DNA, corrispondenti a 20-25 mila geni.

Cluster del batterio sintetico JCVI-syn3.0 magnificato 15 mila volte al microscopio elettronico. (Credit: Tom Deerinck e Mark Ellisman - National Center for Imaging and Microscopy Research, University of California at San Diego)
Cluster del batterio sintetico JCVI-syn3.0 magnificato 15 mila volte al microscopio elettronico. (Credit: Tom Deerinck e Mark Ellisman – National Center for Imaging and Microscopy Research, University of California at San Diego)

La notizia della creazione del primo batterio sintetico apre la porta a una nuova era nella biologia, in cui la vita potrebbe venire “modellata” in laboratorio con la creazione di nuove specie non presenti in natura e i cui effetti sull’ecosistema e sulla salute umana restano tutti da verificare. L’industria farmaceutica e biofarmaceutica è sicuramente ai primi posti tra i settori che potrebbero beneficiare in futuro della scoperta: basti pensare, infatti, alla possibilità di utilizzare queste “fabbriche” batteriche per l’identificazione e la produzione di nuovi principi attivi. Anche l’agricoltura, la produzione di biocombustibili, le scienze biologiche di base e la nutrizione potrebbero giovarsi di una nuova generazione di batteri “tailored-made” per lo sviluppo di produzioni mirate.

Il batterio sintetico

La ricerca è stata pubblicata sull’ultimo numero di Science e rappresenta il proseguimento del lavoro che al JCVI ha portato, nel 2010, alla creazione della prima cellula “artificiale”, Mycoplasma mycoides JCVI-syn1.0. La cellula  era caratterizzata da un corredo genomico ben più complesso (1,08 milioni di coppie di basi e 901 geni) e la sua gestione è risultata troppo complessa per risultare di utilità pratica per lo sviluppo di metodi industriali basati su organismi ingegnerizzati per scopi specifici. Il gruppo di Venter si è quindi dedicato a identificare i geni effettivamente necessari a mantenere la capacità di replicazione e la funzionalità della cellula in vitro.

Il genoma di JCVI-syn3.0 è stato progettato proprio a partire da quello di JCVI-syn1.0, che è stato suddiviso in diversi frammenti per identificare le sequenze non necessarie a mantenere la viabilità cellulare in vitro. I ricercatori guidati da Clyde Hutchison, Ray-Yuan Chuang e Craig Venter, hanno suddiviso il genoma in otto diversi frammenti, operazione che ha permesso di identificare un insieme di geni quasi-essenziali per il processo di crescita del batterio sintetico. Questi sono stati riunificarti in un unico genoma “minimo”, che è stato sintetizzato chimicamente e trasferito mediante mutagenesi con trasposoni per verificare la vitalità cellulare. Quest’ultimo processo permette il trasferimento di geni nei cromosomi di un organismo ospite con soppressione dell’attività del genoma originario. Il contenuto genomico è risultato essere più importante, ai fini della viabilità e della capacità di crescita cellulare, rispetto alla sequenza con cui i singoli geni sono disposti nella sequenza di DNA.

Il gruppo che ha certo il primo batterio minimo sintetico (credit: J. Craig Venter Institute)
Il gruppo che ha certo il primo batterio minimo sintetico (credit: J. Craig Venter Institute)

Degli oltre 400 geni della cellula JCVI-syn3.0 così ottenuta, 35 codificano per RNA, con una sola sequenza 16S di RNA ribosomiale. La maggior parte dei geni caratterizzati (41%) è coinvolto nell’espressione genica; il 18% partecipa a determinare la struttura e funzione della membrana cellulare, il 17% è correlato al metabolismo citosolico e il 7% alla conservazione dell’informazione genetica. “Il nostro obiettivo è di ottenere una cellula per la quale sia conosciuta la funzione precisa di ogni gene”, ha dichiarato Clyde Hutchison commentando i risultati.

Una ricerca che parte da lontano

Le sfide genomiche sono il pane quotidiano per Craig Venter e per i suoi collaboratori, che già nel 1995 furono i primi a ottenere la sequenza completa del un genoma di un organismo vivente, Haemophilus influenza (1815 geni). La comparazione di questo genoma con quello di Mycoplasma genitalium (525 geni) portò all’identificazione di 256 geni comuni, che il gruppo di La Jolla ipotizzò essere il corredo genomico minimo per assicurare al viabilità cellulare. Venter è stato anche il primo a sequenziare l’intero genoma umano nel 2000. La tecnica della mutagenesi con trasposoni è stata pubblicata per la prima volta dallo stesso gruppo nel 1999, con la contemporanea dimostrazione che molti geni del Mycoplama genitalium non sono necessari alla sua coltivazione in laboratorio. La prima cellula artificiale, JCVI-syn1.0, è stato ottenuta dieci anni più tardi mediante sintesi del suo unico cromosoma e inserimento in una cellula di Mycoplasma capricolum a cui era stato rimosso il corredo genitico originario. Oggi è il turno del primo batterio con corredo genetico quasi-minimo. “Il nostro tentativo di disegnare e creare una nuova specie, in ultimo di successo, ha rivelato che il 32% dei geni essenziali per la vita in questa cellula hanno una funzione sconosciuta, e mostra che molti sono conservati in numerose specie. Tutti gli studi bioinformatici degli ultimi vent’anni hanno sottostimato il numero di geni essenziali, focalizzandosi solo sul mondo conosciuto. Questa è un’osservazione importante che stiamo trasferendo allo studio dell’intero genoma umano”, ha dichiarato Craig Venter commentando la creazione del primo batterio sintetico.

Secondo il vice presidente di Synthetic Genomics, Daniel Gibson, il nuovo metodo di progettazione genomica “dal basso” potrà in futuro portare a significativi progressi nella capacità di realizzare organismi sintetici con funzionalità prevedibili, con ricadute sulla disponibilità di piattaforme tecnologiche di ultima generazione che troverebbero impiego in una vasta gamma di settori industriali. Il genoma del batterio sintetico syn3.0 è stato preparato con gli strumenti commerciali di sintesi genomica semi-automatica di Synthetic Genomics, che includono librerie geniche combinatoriali, il software genomico Archetype®, i kit Gibson Assembly® e l’apparecchiatura da banco BioXp™.