Rappresentazione schematica della beta-arrestina. I biosensori (colorati) hanno permesso di studiare i movimenti spaziali della proteina in tempo reale all’interno di cellule vive (credits: Research Group Hoffmann)

La scoperta della beta-arrestina non è nuova, risale al 1990, ma solo oggi gli scienziati dell’università tedesca di Würzburg guidati da Carsten Hoffmann e Martin Lohse, sono riusciti a chiarirne le funzioni chiave di molecola indipendente di trasmissione del segnale. Una scoperta che potrebbe aprire nuove e importanti prospettive per l’utilizzo di nuovi target molecolari di sviluppo di farmaci in aree terapeutiche quali la trasmissione del dolore e dello stimolo sensorio.

I ricercatori tedeschi hanno determinato che la beta-arrestina è una proteina di segnale indipendente coinvolta nella regolazione dell’importante cammino di segnale che utilizza la vastissima famiglia dei recettori accoppiati a proteina G (GCPRs).

Rappresentazione schematica della beta-arrestina. I biosensori (colorati) hanno permesso di studiare i movimenti spaziali della proteina in tempo reale all’interno di cellule vive (credits: Research Group Hoffmann)
Rappresentazione schematica della beta-arrestina. I biosensori (colorati) hanno permesso di studiare i movimenti spaziali della proteina in tempo reale all’interno di cellule vive (credits: Research Group Hoffmann)

La funzione della beta-arrestina è stata descritta per la prima volta in un articolo recentemente pubblicato su Nature in cui vengono descritte le interazioni spaziali e temporali, in cellule vive, tra la proteina e i recettori GCPRs, valutate tramite l’uso della tecnica di fluorescence resonance energy transfer (FRET) applicata a biosensori interni alla molecola della beta-arrestina2. Resta, invece, ancora da chiarire l’esatto meccanismo molecolare alla base della sua funzionalità.

Già nel 1990 Lohse aveva intuito che la beta-arrestina poteva giocare un ruolo nel disattivare i recettori, ma solo la disponibilità delle sofisticate tecnologie moderne ha permesso di risolvere la caccia al tesoro e di rivelare esattamente come partecipa alla trasmissione del segnale: l’attivazione della proteina da parte del recettore dura più a lungo della sua interazione con esso ed è così significativa da poter essere rilevata lungo l’intero ciclo di attivazione-deattivazione.

L’impatto che la scoperta potrebbe avere per la messa a punto di nuove strategie di drug targeting è legato alle modalità con cui la proteina viene attivata, che dipendono dal tipo specifico di recettore che interagisce con essa: basta pensare al fatto che i recettori accoppiati a proteina G sono una famiglia che comprende almeno 800 recettori diversi per capire che il riuscire a rinforzare, o viceversa a bloccare, le funzioni della beta-arrestina potrebbe avere importanti ricadute sia sull’efficacia che sugli effetti avversi dei farmaci di prossima generazione.

Secondo Carsten Hoffmann, uno dei settori che maggiormente potrebbe giovarsi della scoperta sono i trattamenti antidolorifici di lungo termine, dove i dosaggi devono spesso essere aumentanti nel tempo a causa dell’assuefazione dell’organismo al medicinale. Secondo lo scienziato tedesco, farmaci indirizzati in modo specifico alla beta-arrestina potrebbero diminuire gli effetti collaterali e dare minore assuefazione. Non resta che attendere i nuovi test che il gruppo di Würzburg ha già in programma con una serie di sostanze modello per sapere se Hoffmann ha ragione.