Uno studio italiano di real life conferma l’associazione nab-paclitaxel/gemcitabina per il tumore del pancreas metastatico come standard of care.

nab-paclitaxel e gemcitabina per il tumore del pancreas
Uno studio italiano di real life conferma nab-paclitaxel e gemcitabina per il tumore del pancreas metastaticocome standard of care

Il carcinoma del pancreas rappresenta, per la prognosi particolarmente sfavorevole, uno dei principali big killer oncologici; per questo motivo la ricerca clinica si sta impegnando per migliorare le conoscenze sui meccanismi di insorgenza e progressione di questa neoplasia, con l’obiettivo di ottenere terapie sempre più efficaci.

In questo scenario, la ricerca italiana svolge un ruolo rilevante: ne è ulteriore prova lo studio che coinvolge più di 20 oncologici Centri italiani, relativo all’impatto che un trattamento di seconda linea può avere in pazienti con malattia metastatica che hanno ricevuto una terapia di prima linea con l’associazione nab-paclitaxel/gemcitabina.

Lo studio è stato presentato al 52° congresso dell’ASCO – American Association of Medical Oncology, tenutosi dal 3 al 7 giugno a Chicago.

«L’obiettivo principale dello studio era quello di verificare in un ambito di real life i risultati dello studio internazionale MPACT, confermando nab-paclitaxel/gemcitabina come standard of care per il tumore del pancreas metastatico – commenta Ferdinando De Vita, professore di Oncologia Medica alla Seconda Università degli Studi di Napoli – Lo studio ha analizzato la prognosi di oltre 220 pazienti trattati con nab-paclitaxel/gemcitabina che, al momento della progressione, hanno ricevuto una seconda linea di chemioterapia o esclusivamente una terapia di supporto. Oltre la metà di tutti i pazienti (55%) ha potuto ricevere una seconda linea: indipendentemente dal tipo di chemioterapia, la prosecuzione del trattamento antiblastico ha determinato un miglioramento statisticamente significativo della sopravvivenza mediana, che si è attestata sui 13,5 mesi rispetto ai 6,5 mesi dei pazienti che non hanno ricevuto la seconda linea chemioterapica».

«Questa collaborazione multicentrica ha permesso innanzitutto di analizzare i database di diverse centinaia di pazienti trattati in Italia con la combinazione di nab-paclitaxel e gemcitabina, permettendo di confermarne l’efficacia e la tollerabilità che già emergevano dallo studio MPACT, anche nella nostra pratica clinica».

La nuova possibilità di strategia terapeutica

Ferdinando De Vita spiega: «Lo scenario terapeutico del carcinoma pancreatico in fase metastatica comincia, sia pure a piccoli passi, finalmente a cambiare attraverso la disponibilità di trattamenti efficaci che hanno consentito il superamento della gemcitabina. La gemcitabina, per anni, ha rappresentato l’unica opzione di trattamento per questi pazienti con risultati estremamente modesti. Pertanto, se fino a pochi anni fa ci si chiedeva addirittura se questi pazienti dovessero ricevere un trattamento chemioterapico, adesso si comincia a disegnare un percorso terapeutico in cui è possibile pensare a linee di trattamento successive alla prima.

Tuttavia per realizzare questa sequenza terapeutica abbiamo bisogno di disporre di una chemioterapia di prima linea che sia efficace, ma al tempo stesso caratterizzata da tossicità accettabile, dalla capacità di consentire una buona qualità di vita e, soprattutto, di ritardare il deterioramento del performance status del paziente.  

Una terapia chiaramente efficace e con scarsa tossicità come la combinazione di nab-paclitaxel e gemcitabina, non soltanto garantisce un trattamento attivo in prima linea, ma consente a un’ampia fetta di pazienti di ricevere un successivo trattamento di seconda linea al momento della progressione con un significativo impatto sulla sopravvivenza globale.

Questi dati rappresentano un’indicazione importante per la comunità oncologica, dimostrando come, anche per i pazienti con tumore metastatico del pancreas, si possa cominciare a parlare di continuum of care.

Complessivamente queste evidenze implicano che il percorso terapeutico di un paziente con malattia metastatica sia condizionato dalle scelte terapeutiche stabilite inizialmente al momento della prima linea e, di contro, che la scelta di un trattamento di prima linea sub-ottimale per efficacia e/o tossicità possa avere delle ricadute negative sull’intero percorso terapeutico».

Futuri possibili sviluppi dell’associazione nab-paclitaxel/gemcitabina

«Dati di efficacia così rilevanti – continua De Vita – suggeriscono l’impiego dell’associazione anche in altre situazioni di malattia come nella malattia localmente avanzata quando sia richiesto un downsizing della neoplasia ai fini dell’operabilità o nei pazienti sottoposti a trattamento chirurgico per i quali è previsto un trattamento chemioterapico adiuvante. In particolare si è da pochi mesi chiuso il reclutamento dello studio APACT, studio internazionale di fase III che sta confrontando il trattamento adiuvante standard rappresentato anche in questo caso dalla gemcitabina con un trattamento sperimentale rappresentato proprio dalla combinazione di nab-paclitaxel e gemcitabina. Lo studio ha arruolato 800 pazienti ed anche in questo caso è stato rilevante il contributo dell’Italia, che è stata una delle nazioni ad arruolare il maggior numero di pazienti».

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