Una ricerca ha valutato la correlazione tra declino cognitivo e ipertensione evidenziando che una pressione sistolica maggiore di 135 mmHg è un fattore di rischio per le prestazioni cognitive degli anziani.

Una ricerca ha valutato la correlazione tra declino cognitivo e ipertensione confrontando anziani normotesi con anziani con ipertensione controllata farmacologicamente. È risultato che una pressione sistolica maggiore di 135 mmHg è un fattore di rischio per le prestazioni cognitive
Una ricerca ha valutato la correlazione tra declino cognitivo e ipertensione confrontando anziani normotesi con anziani con pressione controllata farmacologicamente. L’ipertensione è risultata un fattore di rischio per le prestazioni cognitive

Il declino cognitivo è non soltanto il prezzo della longevità, ma un mix di fattori genetici, ambientali e personali. Mantenere una mente lucida anche in tarda età è una vera conquista. Ecco perché è così importante conoscere e analizzare ogni elemento che possa interferire con il buon funzionamento del cervello.
«Studi sull’ipertensione hanno messo questo disturbo sul banco degli imputati – spiega Franco Romeo, Local Press Coordinator dell’ESC e direttore Cardiologia Policlinico Tor Vergata di Roma – nonostante diversi studi abbiano cercato di analizzare l’impatto della pressione alta sulle funzioni cognitive, la maggior parte ha confrontato i pazienti non trattati con quelli in terapia mentre sono più scarse le ricerche che hanno messo in relazione soggetti in terapia con i normotesi».

Ricerca sul rapporto tra capacità cognitive e pressione

La ricerca presentata all’ESC Congress 2016 ha preso in esame 48 adulti di età compresa tra 65 e 85 anni, divisi poi in due gruppi: 26 normotesi e 22 con ipertensione controllata da farmaci. Ogni partecipante ha accettato a sottoporsi a una valutazione neuropsicologica orientata a determinare i livelli di memoria, attenzione, linguaggio e funzioni esecutive, insieme ad un monitoraggio pressorio delle 24 ore e ad analisi del sangue (sodio, potassio, calcio, creatinina, glucosio, trigliceridi, funzionalità tiroidea).

Per ogni valore è stata condotta l’analisi di varianza (una tecnica che permette di confrontare gruppi di dati con la variabilità interna ai gruppi e tra i gruppi, nota con l’acronimo ANOVAs).

I risultati sulla valutazione neuropsicologica di normotesi vs ipertesi controllati farmacologicamente

I risultati hanno rilevato una differenza significativa tra i due gruppi nei tempi di risposta al Color Word Interference Test (CWIT) in cui bisogna leggere il nome del colore con cui è dipinto il nome di un colore (es. “giallo” scritto con inchiostro rosso, quindi la risposta giusta è “rosso”, in psicologia viene chiamato ‘effetto stroop’).

«È interessante notare come in questo test i pazienti in trattamento mostravano performance peggiori rispetto a quelli del gruppo con pressione nella norma. La ricerca ha anche evidenziato una correlazione positiva tra valori pressori di 135 mmHg e i risultati del Trail Making Test parte B che valuta la capacità di pianificazione spaziale in un compito di tipo visuo-motorio: consiste ad esempio nell’unire con una linea lettere e numeri sparsi su un foglio in una sequenza definita A1,B2,C3 ecc e il punteggio è basato sul numero di secondi impiegati a completare il test – aggiunge Michele Gulizia, Local Press Coordinator della Società Europea di Cardiologia e direttore Cardiologia Ospedale Garibaldi di Catania.

Il gruppo di ricercatori canadesi ha quindi preso atto che una pressione sistolica maggiore di 135 mmHg è un fattore di rischio per prestazioni cognitive, rinforzando l’ipotesi che l’ipertensione debba essere attentamente monitorata e controllata per proteggere anche il cervello».

Correlazione tra ipertensione e funzione cerebrale

«Problema non di poco conto se pensiamo che l’ipertensione interessa milioni di connazionali ed è causa di numerose complicazioni cardiovascolari e non – avverte Leonardo Bolognese, direttore Cardiologia ospedale di Arezzo e Local Press Coordinator di ESC – l’hanno definita il killer silenzioso che ha lasciato una scia di 240mila morti solo nel nostro Paese, pari al 40% di tutte le cause. La correlazione con la funzione cerebrale risiede nel fatto che nonostante esistano terapie efficaci, solo 1 paziente su 4 riceve un trattamento adeguato e controlla i valori efficacemente. La compliance infatti è un ‘nodo gordiano’ molti soggetti non assumono la terapia in modo corretto, altri non la assumono affatto, che spiega come alcuni casi definiti ‘resistenti’ dipendono invece da problemi di aderenza».

Controllare l’instabilità pressoria (e non solo il valore medio) è una strategia per proteggere le funzioni cognitive, così come sottolineato anche da una ricerca pubblicata su Hypertension. Da ricordare inoltre è che la pressione alta è il fattore di rischio numero uno per l’ictus e nei soggetti tra 40 e 61 anni il rischio di mortalità cardiovascolare raddoppia ogni 10/20 mmHg in più (G. Geront. 2004).