Sembra che questa volta ci siamo, che la novità sia arrivata e che si chiami 5G. Proprio così, perché l’insieme di innovazioni tecnologiche che ne sono alla base porterà allo sviluppo di servizi digitali destinati a impattare in maniera epocale sulle nostre abitudini di vita e sull’economia di svariati comparti.
Le potenzialità sono enormi, basti pensare che l’implementazione delle tecnologie 5G consentirà la definitiva affermazione dell’Internet of Things e l’aumento esponenziale delle soluzioni di realtà virtuale e realtà aumentata negli ambiti più disparati, a partire dall’entertainment. La possibilità di trasferire enormi quantità di dati in tempi velocissimi tra un numero sempre crescente di dispositivi connessi e attraverso un collegamento sempre più affidabile porta con sé il miglioramento della comunicazione tra i vari device e maggiori potenzialità di controllo e sicurezza, cosicché parole come smart home, smart city, smart grid, industria 4.0, telemedicina, veicoli a guida autonoma smetteranno di essere concetti perlopiù astratti e diventeranno realtà nelle quali e con le quali muoverci quotidianamente.

Come impatterà in 5G sull’healthcare?

Per limitarci all’ambito healthcare, le “iperconnessioni” consentiranno ai medici di utilizzare, per esempio, dispositivi indossabili per fare prevenzione o diagnosi o effettuare consulenze online o seguire l’aderenza di un paziente a una terapia o un decorso post-operatorio a distanza o permetteranno ai chirurghi di operare da remoto, in modo molto più efficiente, affidabile e sicuro di quanto non avvenga già oggi. Il tutto in una logica di decentramento dell’assistenza sanitaria e centralizzazione dei dati del paziente, con una conseguente ottimizzazione delle risorse.

Fantastico! E allora, perché il dubbio insinuato dal titolo?

Per capirlo sarebbe necessario scendere in dettagli tecnologici e architetturali che non è il caso di affrontare in questa sede. Per ora basti sapere che per implementare il sistema è necessaria una rete più fitta di celle e antenne che consentano trasmissione e ricezione delle onde elettromagnetiche ad altissima frequenza impiegate dalla nuova tecnologia, che, per loro natura, hanno una minor capacità di penetrazione.
Ed ecco che la sindrome di Nimby incombe.
Perché in tutta questa meraviglia tecnologica un ma c’è e non è di poco conto, dal momento che potrebbe impattare sulla salute di tutti: non si sa se e quanto il 5G, ovvero l’esposizione alle radiofrequenze necessarie perché tutto il sistema regga, possa nuocere. Semplicemente non ci sono studi che garantiscano l’innocuità di vivere 24/7 in una foresta di antenne e in una nube di radiazioni elettromagnetiche; e questo va contro il principio di precauzione e non è particolarmente rassicurante, soprattutto per chi è abituato a ragionare in termini di real world evidence.
D’altro canto, nel nostro Paese, l’asta per le frequenze 5G è stata battuta e porterà nelle casse dello Stato qualcosa come 6,5 miliardi di euro entro il 2022. Le compagnie telefoniche si sono spartite il malloppo e pretenderanno ciò che è stato loro promesso e che hanno lautamente pagato. Milano, Prato, L’Aquila, Matera e Bari sono pronte per entrare, nel 2020, nel mondo del 5G.
Quali interessi prevarranno?