L’inibitore del recettore FGFR2 (derazantinib) ha stabilizzato il colangiocarcinoma con traslocazione di FGFR2 in oltre l’80% dei pazienti e ne ha provocato una regressione nel 20%, a fronte di una tossicità del trattamento molto contenuta.

Derazantinib per il colangiocarcinoma con traslocazione di FGFR2 ha stabilizzato la malattia in oltre l’80% dei casi e ne ha provocato la regressione nel 20%
In uno studio guidato dall’Istituto nazionale dei tumori di Milano, derazantinib per il colangiocarcinoma con traslocazione di FGFR2 ha stabilizzato la malattia in oltre l’80% dei casi e ne ha provocato la regressione nel 20%. Vincenzo Mazzaferro è coordinatore dell’area clinica che si occupa di neoplasie del distretto epato-bilio-pancreatico, gastrico e neuroendocrino dell’INT ed è professore ordinario di chirurgia all’Università di Milano

Si apre la strada a una nuova strategia di cura per il colangiocarcinoma non operabile e non più responsivo alla chemioterapia grazie a derazantinib, un inibitore selettivo di FGFR2. Lo evidenzia lo studio condotto su pazienti afferenti a importanti Cancer Centers europei e americani guidati dall’Istituto Nazionale Tumori di Milano e pubblicato sul British Journal of Cancer.

«Alcuni studi di genetica molecolare su campioni prelevati da pazienti con colangiocarcinoma hanno dimostrato che in circa il 20% di questi tumori è presente una “traslocazione” nel gene di un recettore cellulare denominato FGFR2 – spiega Vincenzo Mazzaferro dell’Istituto Nazionale dei Tumori. – Poiché il gene va incontro a rottura e ricombinazione, si crea una proteina “di fusione” che stimola la cellula a proliferare senza controllo».

Questo meccanismo che favorisce la crescita del tumore può essere contrastato da farmaci “di precisione” sintetizzati per bloccare l’attività del recettore FGFR2, come ha dimostrato derazantinib.

«I risultati ottenuti confermano la necessità di selezionare il colangiocarcinoma sulla base della presenza del recettore FGFR2continua  Vincenzo Mazzaferro. – Inoltre, sottolinea l’importanza di trattare i pazienti potenzialmente sensibili con l’inibitore specifico».

«I risultati che abbiamo appena pubblicato sul British Journal of Cancer ci hanno consentito di partire con un nuovo studio molto più ampio – conclude Vincenzo Mazzaferro. – L’obiettivo è quello di approfondire gli aspetti correlati allo sviluppo di resistenze contro questo tipo di farmaci, con promettenti implicazioni nell’ambito della cosiddetta oncologia di precisione, anche ad integrazione delle prospettive chirurgiche di trattamento dei colangiocarcinomi».

Le strategie di cura derivate da questa e da altre lezioni dell’oncologia di precisione tendono a far applicare i farmaci a bersaglio molecolare come il derazantinib non solo a pazienti con tumore avanzato e non operabile, ma anche a stadi di tumore più precoci, asportabili con interventi chirurgici. 

Le caratteristiche di questi farmaci sono:

  • elevata specificità su alcuni sottotipi di tumore,
  • scarsa tossicità,
  • rapidità di azione
  • perdita di efficacia in tempi relativamente brevi a causa di resistenze maturate dalle cellule neoplastiche.

Tali caratteristiche li rendono ideali per le fasi pre-chirurgiche, quando non già il controllo della progressione di malattia, ma la risposta terapeutica sul tumore asportabile può diventare un significativo fattore di prognosi.

Sono molti infatti i segnali che tendono ad attribuire alla “risposta” alla terapia con farmaci e con trattamenti non-chirurgici un ruolo predittivo davvero rilevante sul trattamento dei tumori solidi come il colangiocarcinoma. Si tratta di una prospettiva molto innovativa che affida sia alla terapia farmacologica di precisione sia alle procedure chirurgiche modernamente interpretate, il compito di aumentare i margini di efficacia dell’intervento di asportazione di un tumore, riducendo le probabilità di recidiva e servendo quindi pienamente il principio dell’impiego massimo di risorse per coloro che davvero ne possono beneficiare.

Il colangiocarcinoma intraepatico

Il colangiocarcinoma intraepatico (ICCA) è una neoplasia a elevata malignità che origina dalle vie biliari all’interno del fegato.

La terapia più efficace è l’asportazione chirurgica del tumore (resezione o trapianto), che è tuttavia possibile soltanto nel 30-40% dei pazienti, con una probabilità elevata di recidiva. Nei pazienti in cui l’intervento chirurgico non è possibile o è controindicato, la cura di scelta è la chemioterapia che, tuttavia, ha un’efficacia limitata nell’arrestare la progressione tumorale. Per i pazienti non responsivi alla chemioterapia, ad oggi, non sono disponibili valide opzioni terapeutiche, con una prognosi invariabilmente fatale. Per questa fascia di pazienti, l’identificazione di una nuova cura potrà fornire un beneficio terapeutico.