I risultati dei progetti di ricerca finanziati con fondi pubblici dovrebbero sempre venire pubblicati su riviste open access, è l’obiettivo che già da qualche anno è stato posto a livello europeo al fine di disseminare la conoscenza in modo trasparente, rapido e capillare. Obiettivo che potrebbe scattare a partire dal 1° gennaio 2020, data prevista per il lancio della prima fase del Plan S.Solo i risultati che possono essere discussi, sfidati e, ove appropriato, testati e riprodotti da altri si qualificano come scientifici“, recita la mission dell’iniziativa, lanciata a settembre 2018 dal network Coalition S comprendente undici enti nazionali di ricerca finanziatori di attività di R&D sotto la guida di Science Europe (tra cui l’Istituto italiano di fisica nucleare per l’Italia) e con il supporto della Commissione europea e del Consiglio europeo di ricerca (ERC).

Gli Stati membri si erano impegnati nel maggio 2016 a raggiungere questo obiettivo entro il 2020, nel solco della transizione globale verso l’open science, ha ricordato il commissario europeo alla Ricerca, Carlos Moedas. “‘La conoscenza è potere’, e credo fermamente che l’accesso libero a tutte le pubblicazioni scientifiche derivate dalla ricerca finanziata dal pubblico sia un diritto morale dei cittadini“, ha sottolineato nel corso del lancio di Plan S.

Rimuovere le barriere di accesso alla conoscenza

Secondo il Piano S, i paywall che storicamente hanno caratterizzato molte riviste anche nel campo dell’editoria scientifica rappresentano la barriera principale – piuttosto “anomala” in quanto “in profondo contrasto con l’ethos della scienza” – che limita la possibilità degli scienziati di accedere all’informazione per condurre nuove ricerche.

Il cambio di paradigma dovrebbe vedere una parallela inversione anche delle modalità di retribuzione degli editori, secondo Plan S, che dovrebbero venire ricompensati per il valore dei servizi editoriali forniti agli autori per la pubblicazione degli articoli piuttosto che per il loro accesso da parte dei lettori. Il suggerimento è di valorizzare i servizi di reviewing ed editing, la disseminazione dei contenuti e il loro interlink, secondo gli standard minimi descritti dai ‘Science Europe Principles on Open Access Publisher Services’ del 2015.

Un’altra barriera che Plan S si propone di rimuovere è l’embargo che spesso precede la pubblicazione degli articoli. Le riviste “ibride” – in cui alcuni articoli sono open e altri accessibili solo a pagamento – potrebbero essere tollerate durante il periodo di transizione purché mettano in atto nuove e “trasformative” tipologie di accordo con gli autori che prevedano il pagamento di “publication fees” piuttosto che per l’accesso agli articoli. Tra gli obiettivi del Plan S vi è anche il superamento del cosiddetto “predatory publishing“, in cui gli autori pagano a fronte della pressoché totale assenza di fornitura di servizi editoriali. Obiettivo da perseguire attraverso l’adozione di solidi criteri di qualità per l’open access publishing, sul modello di quelli sviluppati dalla Directory of Open Access Journals (DOAJ) e dalla Directory of Open Access Books (DOAB).

I dieci principi base del Plan S

L’implementazione del Plan S si basa sui dieci principi base descritti nella mission: un processo che dovrebbe permettere di assicurare che “le nuove regole funzionino per tutti, e riflettano i bisogni dei ricercatori a stadi diversi di carriera e provenienti da diverse comunità accademiche o parti d’Europa“, ha spiegato il presidente del Consiglio europeo della ricerca, Jean-Pierre Bourguignon.

I principi del Plan S pretendo che tutti gli articoli siano pubblicati con licenza open access, preferibilmente la licenza Creative Commons Attribution Licence (CC-BY), o altra licenza che rifletta i requisiti della Dichiarazione di Berlino del 2003. I diritti di copyright dovrebbero rimanere agli autori, mentre gli editori dovrebbero predisporre congiuntamente un solido quadro per la fornitura dei servizi relativi alle riviste e alle piattaforme open access di elevata qualità. Il Piano S prevede anche degli incentivi per la creazione delle riviste e delle piattaforme, o delle infrastrutture che le supportano.

Gli oneri di pubblicazione dovrebbero essere a carico delle istituzioni di ricerca a cui fanno capo gli autori (e non degli autori stessi) o degli enti finanziatori, secondo modalità standard e con un limite superiore identico in tutta Europa. Gli enti finanziatori dovrebbero anche indicare in modo uniforme le politiche di trasparenza da adottare da parte degli enti finanziati (università, enti di ricerca e biblioteche). Gli archivi, anche informatici, devono poi essere adeguati alla conservazione di lungo termine degli articoli (ne abbiamo parlato qui). Secondo Plan S, infine, il modello delle riviste ibride non sarebbe conforme ai principi ispiratori del piano, che dovrebbero applicarsi a tutte le pubblicazioni accademiche dal 1° gennaio 2020, mentre il via anche per i libri e le monografie avverrebbe in seguito.

Le critiche degli addetti ai lavori

Plan S è stato sottoposto ad una fase di consultazione pubblica che ha raccolto oltre seicento commenti provenienti da quaranta diversi paesi. Molte sono state le critiche al Piano, tra cui quelle della Biomedical Alliance in Europe (BioMed Alliance), che raccoglie una trentina di enti di ricerca e società scientifiche europee in campo medico. Lo statement dell’Alleanza indica “alcune preoccupazioni” sia per quanto riguarda lo scopo che le modalità d’implementazione del Piano. “Alcuni dei nostri membri ritengono il piano sottosviluppato, la timeline troppo ambiziosa e i contenuti troppo restrittivi e non flessibili“, si legge nell’opinione. Una maggiore attenzione verso l’open access publishing è positiva, per BioMed Alliance, ma si dovrebbe anche tenere conto che molte organizzazioni non profit, come le società scientifiche, spesso ottengono una fonte di guadagno dalla pubblicazione nella riviste da esse pubblicate. Viene anche suggerita la messa a punto di standard specifici di qualità e peer review in grado di garantire la qualità delle riviste scientifiche. Un’altra critica giunta dall’allenza riguarda l’inversione dell’onere del pagamento, che potrebbe risultare di difficile copertura da parte di molti ricercatori, che verrebbero così limitati nella loro libertà accademica e di pubblicazione.

La European University Association (EUA) ha indicato nella sua posizione ufficiale che la transizione verso modalità di pubblicazione open access richieda uno sforzo coerente e concertato da parte di tutte le parti interessante, dai ricercatori agli enti finanziatori, dagli editori ai governi. Il sistema dovrebbe evolvere in modo da rendere i costi sostenibili per le università, anche se è positivo l’intento di limitare il fenomeno del “double dipping” (in cui gli autori pagano due volte, per pubblicare e per accedere a pagamento alla pubblicazione).

Elsevier, il più grande editore scientifico a livello globale, si ritiene già “ben posizionato” sul fronte dell’open access publishing avendo già concluso una quarantina di accordi con enti finanziatori della ricerca, indica l’editor Emma Ducker dalla pagina web dedicata alle Q&A. Tuttavia, “l’attuale priorità è di assicurare agli autori di poter continuare a scegliere le riviste e il modello di pubblicazione più adatto ai loro bisogni di ricerca“, sottolinea il sito di Elsevier, che ritiene anche Plan S un’iniziativa su scala ancora “locale“.

Molto critica e dettagliata è la posizione espressa dall’editore della rivista Science, l’American Association for the Advancement of Science, secondo cui l’implementazione di Plan S potrebbe creare rilevanti problemi alla comunità dell’editoria scientifica. Tra i punti principali, i limiti agli importi per l’editing degli articoli, ritenuti mettere a rischio l’innovazione e la qualità del lavoro editoriale, e una possibile minore libertà per gli autori derivante dall’eliminazione delle riviste ibride e dalla richiesta di usare licenze particolari, come la CC-BY.

Anche l’editore di Nature, Springer Nature, si è espresso per voce del suo Chief Publisher Officer, Steven Inchcoombe, secondo il quale i dati mostrerebbero che gli articoli open access richiamano un maggior numero di citazioni e di download, con un impatto maggiore. “L’ultima cosa che vorremmo è di essere visti come in qualche modo anti-open access“, ha scritto Inchcoombe a commento della fine della consultazione. Il Piano S potrebbe tuttavia comportare dei rischi e delle conseguenze controproducenti, e la stabilità del sistema dovrebbe essere perseguita attraverso la crescita sia della domanda che dell’offerta, mentre ora l’attenzione sarebbe soprattutto posta sull’offerta editoriale, sottolinea la sua nota.

La “green route” piace a big pharma

L’attitudine delle grandi aziende multinazionali del farmaco a pubblicare i risultati delle loro ricerche in riviste open source è stata analizzata in un articolo pubblicato in preview su SocArXiv da due ricercatori dell’università olandese di Utrecht. Lo studio ha preso in considerazione ventitré aziende big pharma, di cui undici con headquarter negli Usa, nove in Europa, due in Giappone e una in Israele.

Il numero di pubblicazioni open access in cui almeno uno degli autori proviene da una di tale aziende è raddoppiato nel periodo 2009-2016, indica l’articolo, a testimonianza di una ricerca di maggiore trasparenza nella pubblicazione dei dati degli studi sperimentali. Nel periodo considerato sono state pubblicate con modalità open access circa il 32% delle 91 mila pubblicazioni totali in campo medico aventi autori provenienti dalle corporate farmaceutiche prese in considerazione. Tale dato fa riferimento anche alle società partecipate e alle acquisizioni.

L’opzione preferita (80,3%) dalle aziende del farmaco è risultata essere la cosiddetta “green route“, in cui gli articoli vengono pubblicati direttamente in archivi open access come PubMed Central, CrossRef or OpenAIRE. Questa opzione mostra tuttavia un tred decrescente sul periodo considerato, mentre al contrario crescono le pubblicazioni open access nella “gold route“, in cui gli articoli possono essere letti gratuitamente direttamente dal sito della rivista. La preferenza per la green route andrebbe attribuita a una maggiore rapidità di pubblicazione rispetto alle riviste di alto profilo, commenta Kyle Siler dalle pagine di Nature.