Una ricerca Telethon ha individuato nel “DNA spazzatura” (i tratti di DNA che non contengono geni) un nuovo possibile approccio terapeutico per le malattie mitocondriali.

Lo studio è stato pubblicato su EMBO Molecular Medicine e potrebbe avere importanti ricadute anche in diverse malattie neurodegenerative.

Un nuovo possibile approccio terapeutico per le malattie mitocondriali prevede di sfruttare i microRNA come bersagli terapeutici

Lo studio è stato realizzato dai gruppi di ricerca del Tigem guidati da Brunella Franco, professore ordinario di Genetica medica presso il dipartimento di Scienze mediche traslazionali dell’Università “Federico II” di Napoli e da Sandro Banfi, professore associato di Genetica medica presso il dipartimento di Medicina di precisione dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli.

«Abbiamo dimostrato nel modello animale di due diverse malattie mitocondriali (la microftalmia con lesioni cutanee lineari e la neuropatia ottica ereditaria di Leber) che si possono migliorare le manifestazioni cliniche delle patologie intervenendo non sul difetto genetico specifico, ma su delle piccole molecole di RNA che regolano in maniera fine la produzione e lo smaltimento dei mitocondri nelle cellule del sistema nervoso. Il grosso vantaggio è che questo meccanismo è indipendente dallo specifico difetto genetico primario: ridurre l’attività di questi microRNA, miR-181a e miR-181b, potrebbe quindi rivelarsi efficace in diverse malattie, non solo genetiche» – spiega Brunella Franco.

Le disfunzioni mitocondriali sono infatti tipiche anche di malattie neurodegenerative molto più comuni e diffuse, come spiegano Alessia Indrieri e Sabrina Carrella, prime autrici del lavoro: «i nostri dati indicano che questi microRNA possono rappresentare nuovi bersagli terapeutici non solo per malattie rare e di origine genetica come quelle mitocondriali, ma anche per patologie neurodegenerative attualmente incurabili in cui si osserva una significativa disfunzione dei mitocondri».

microRNA come bersagli terapeutici per la malattia di Parkinson

Proprio alla luce di queste evidenze, Alessia Indrieri, giovane ricercatrice del Tigem e dell’Università Federico II di Napoli ha infatti recentemente ottenuto dalla Fondazione Roche un finanziamento specifico per approfondire l’impatto di questo approccio terapeutico nella malattia di Parkinson.

«I microRNA si stanno rivelando delle molecole molto interessanti, nonostante siano codificati da quella porzione di DNA che non contiene geni e che proprio per questo in passato è stata definita “spazzatura”. Al contrario, sono dei regolatori molto fini dell’attività di altri geni e in alcuni casi sono già in fase di sperimentazione clinica sull’uomo, per il trattamento di alcune forme di cancro. Il nostro laboratorio è al momento concentrato nella produzione di “farmaci” che possano mimare nell’uomo quanto osservato ad oggi nei modelli animali utilizzati. Questi “farmaci” potrebbero rivelarsi molto utili per il trattamento delle malattie mitocondriali e non solo» – conclude Brunella Franco.