Riprendendo parole di gattopardiana memoria – ha sottolinea il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, nel presentare il 4° Rapporto Gimbe sulla sostenibilità del Servizio sanitario nazionale (Ssn) – se vogliamo rilanciare il Ssn dobbiamo cambiare tutto – entità del finanziamento, criteri di riparto, verifica adempimenti Lea, pianificazione e organizzazione dei servizi sanitari, modalità di rimborso delle prestazioni – affinché non cambi nulla, ovvero per non perdere i princìpi di equità, solidarietà e universalismo che da quarant’anni costituiscono il Dna del nostro Servizio sanitario nazionale“.


Il riallineamento del Servizio sanitario nazionale italiano agli standard degli altri paesi europei, prevede il rapporto, richiederebbe ad oggi una spesa sanitaria di € 230 miliardi nel 2025, nonché la convergenza di tutte le forze politiche e la messa a punto di un programma di azioni coraggiose e coerenti. “Ma soprattutto bisogna ‘mettere in sicurezza’ le risorse ed evitare le periodiche revisioni al ribasso, ovvero definire sia una soglia minima del rapporto spesa sanitaria/Pil, sia un incremento percentuale annuo del fabbisogno sanitario nazionale pari almeno al doppio dell’inflazione“, è la proposta avanzata dal presidente dalla Fondazione Gimbe.

Verso l’inesorabile privatizzazione

Il quadro che emerge dal 4° Rapporto Gimbe appena pubblicato è drammatico: la sanità pubblica, sempre più ignorata dalla politica, sta ormai cadendo a pezzi e il cammino verso la privatizzazione appare ormai segnato. Un’opera di lento e progressivo sgretolamento di quello che era un fiore all’occhiello dell’Italia a livello mondiale: la più grande opera pubblica mai costruita in Italia, nelle parole del presidente Cartabellotta, secondo cui la perdita di un servizio sanitario pubblico, equo e universalistico, “oltre a compromettere la salute delle persone e a ledere un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, porterà ad un disastro sociale ed economico senza precedenti”.
Il livello della spesa per la sanità pubblica in Italia è ormai allineato a quello dei paesi dell’Est Europa, sottolinea il 4° rapporto Gimbe, e ormai molti livelli essenziali di assistenza (Lea) sono garantiti solo sulla carta. Inevitabile, quindi, per i cittadini in grado di permetterselo rivolgersi alla sanità privata, il secondo pilastro che è in sempre più rapida ascesa.

Per Nino Cartabellotta, i cittadini appaiono comunque passivi rispetto a quello che dovrebbe essere un diritto sancito dalla Costituzione, il diritto alla salute. “Cittadini e pazienti, ignorando il valore inestimabile del Servizio sanitario nazionale di cui sono ‘azionisti di maggioranza’, non sono mai scesi in piazza per rivendicare la tutela della sanità pubblica e costringere la politica a tirarla fuori dal dimenticatoio”, è l’amaro commento del presidente del Gimbe.

Manca una strategia politica di lungo termine

Il tempo per invertire questo andamento è ormai agli sgoccioli, e servirebbe una netta presa di posizione politica che affronti il problema di “preservare e potenziare” la sanità pubblica con un piano strategico di lungo termine. Volontà politica che però sembra assente, sottolinea il rapporto Gimbe.
Non meno preoccupante è il quadro che emerge dalla lettura del documento per quanto riguarda l’accessibilità alle più moderne terapie e tecnologie, che vede da un lato pazienti e professionisti sanitari che vorrebbero poter usufruire delle più avanzate conquiste scientifiche e tecnologiche, dall’altro il definanziamento pubblico crescente che allontana sempre più tale possibilità. La sanità, infatti, per la Fondazione Gimbe è ormai considerata un mero capitolo di spesa pubblica da saccheggiare e non una leva di sviluppo economico da sostenere; il settore assorbe solo il 6,6% del Pil, a fronte di una filiera della salute che ne produce circa l’11%. “Dal 2010 tutti i Governi hanno ridotto la spesa sanitaria per fronteggiare le emergenze finanziarie, fiduciosi che il Servizio sanitario nazionale fornirà sempre risultati eccellenti e consapevoli che qualcun altro raccoglierà i cocci”, ha commentato Cartabellotta.

I numeri per il 2017

Il 2017, indica l’ultimo rapporto Gimbe, ha visto una spesa sanitaria totale di oltre 204 miliardi di euro, di cui poco meno di € 155 mld di sola spesa sanitaria (€ 113 mld spesa pubblica e € 41,7 mld spesa privata). La spesa a diretto carico delle famiglie è stata di quasi 36 miliardi, mentre solo 5,8 mld sono sostati intermediati da fondi sanitari o polizze collettive (€ 3.9 mld), polizze individuali (€ 711 milioni) e da altri enti (€ 1.17 miliardi).
La spesa sociale di interesse sanitario è ammontata a € 41.8 miliardi di cui € 32.8 mld di spesa pubblica e € 9.1 mld stimati di spesa delle famiglie. A livello fiscale, le deduzioni e detrazioni di imposta dal reddito delle persone fisiche per spese sanitarie sono state pari a € 3.86 mld, mentre sono stati 3.36 i miliardi di euro di contributi versati a fondi sanitari integrativi. Quest’ultima cifra, sottolinea la Fondazione Gimbe, sarebbe ampiamente sottostimata per l’indisponibilità dei dati relativi al welfare aziendale e alle agevolazioni fiscali a favore delle imprese.
Inarrestabile il trend di definanziamento pubblico del Ssn, che nel periodo 2010-2019 avrebbe sottratta al Ssn circa € 37 miliardi, a fronte di un incremento complessivo del fabbisogno sanitario nazionale di € 8,8 miliardi, con una media annua dello 0,9% – insufficiente anche solo a pareggiare l’inflazione (+ 1,07%). E le previsioni per il futuro non possono che vedere peggiorare questa situazione, visto che il Def 2019 ha ridotto ulteriormente il rapporto spesa sanitaria/Pil dal 6,6% del 2019-2020 al 6,5% nel 2021 e al 6,4% nel 2022. Le buone intenzioni della Legge di Bilancio 2019 (+ € 8,5 miliardi nel triennio 2019-2021) sono per la Fondazioni Gimbe subordinate ad ardite previsioni di crescita e alla stipula, tutta in salita, del Patto per la Salute.

I suggerimenti per invertire la tendenza

Uscire dal perimetro della spesa sanitaria sarebbe solo il primo passo per cercare di ridare al Ssn il posto che gli spetta nella sanità italiana, secondo il presidente della Fondazione Gimbe. La spesa sociale di interesse sanitario e la spesa fiscale per detrazioni e deduzioni, infatti, sarebbero nient’altro che due voci appartenenti a uno stesso ‘salvadanaio’, utilizzato per la salute degli italiani. “Al di là delle cifre – spiega Cartabellotta – oggi la vera sfida è identificare il ritorno in termini di salute delle risorse investite in sanità (value for money): secondo le nostre analisi, il 19% della spesa pubblica, almeno il 40% di quella delle famiglie e il 50% di quella intermediata non migliorano salute e qualità di vita delle persone”.
Un esteso programma di riforme sanitarie e fiscali accompagnate da azioni di governance a tutti i livelli finalizzate a ridurre al minimo i fenomeni di sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate e sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate, dovrebbero quindi essere i cardini portanti delle future politiche che la Fondazione Gimbe chiede al governo.
Tra le criticità identificate dal 4° Rapporto, la definizione e l’aggiornamento degli elenchi delle prestazioni che entrano nei Lea e di quelle che condizionano l’omogenea erogazione ed esigibilità dei nuovi Livelli essenziali di assistenza. Le evidenze scientifiche e i princìpi di costo-efficacia dovrebbero essere la base da cui partire, secondo Nino Cartabellotta, per sfoltire le prestazioni. “In Italia il finanziamento pubblico tra i più bassi d’Europa convive con il ‘paniere Lea’ più ampio, garantito però solo sulla carta”, è il commento del presidente di Gimbe, che porta ad esempio la mancata pubblicazione del ‘decreto tariffe’, ancora fermo al Ministero dell’Economia e delle Finanze in attesa di copertura finanziaria.
Non meno importante sarebbe la lotta agli sprechi, che il Rapporto stima per il 2017 in € 21,59 miliardi. La voce più consistente riguarda il sovra-utilizzo di servizi e prestazioni sanitarie inefficaci o inappropriate (€ 6,48 mld), seguita da frodi e abusi (€ 4,75 mld), acquisti a costi eccessivi (€ 2,16 mld), sotto-utilizzo di servizi e prestazioni efficaci e appropriate (€ 3,24 mld), inefficienze amministrative (€ 2,37 mld) e inadeguato coordinamento dell’assistenza (€ 2,59 mld).

Ridefinire il ruolo del secondo pilastro

Non meno importante sarebbe, per la Fondazione Gimbe, definire meglio l’esatto perimetro d’intervento per il secondo pilastro in sanità, rappresentanti dai fondi sanitari integrativi. Che poi così integrativi non sarebbero, allo stato attuale delle cose, ma piuttosto sostitutivi di molte prestazioni già erogate dalla sanità pubblica. Andrebbe superata, sottolinea il rapporto, l’attuale normativa frammentata e incompleta a cui fa capo il settore, che oltre a consentire le prestazioni sostitutive, secondo il Gimbe avrebbe anche permesso all’intermediazione assicurativa di diventar la protagonista della gestione dei fondi. Una dinamica che avrebbe come conseguenza il proliferare di “pacchetti” di prestazioni superflue, che secondo il Rapporto avrebbero come conseguenza una maggiore tendenza al consumismo sanitario. “Continuare a dirottare risorse pubbliche sui fondi sanitari tramite le agevolazioni fiscali e non riuscire a rinnovare contratti e convenzioni e, più in generale ad attuare le inderogabili politiche sul personale – spiega Nino Cartabellotta – è un chiaro segnale di privatizzazione del Servizio sanitario nazionale, che configura un grave atto di omissione politica”.
La classe politica è messa sotto attacco da parte della Fondazione Gimbe anche per quanto riguarda una collaborazione tra governo e regioni definita “non sempre leale”, e sui cui potrebbero abbattersi anche le nuove istanze dettate dal regionalismo differenziato. Ma ce n’è anche per i cittadini-pazienti, che secondo il rapporto avrebbero spesso aspettative irrealistiche in tema di salute, con un conseguente impatto sulla domanda di servizi e prestazioni, anche se inutili; domanda a cui non farebbe però seguito una presa di consapevolezza e un cambiamento degli stili di vita dannosi.