In uno scenario in cui innovazione e globalizzazione hanno raggiunto livelli di accelerazione senza precedenti, tante sono le sfide che le imprese farmaceutiche si trovano ad affrontare e, per rimanere competitive, è necessario che rimodulino le loro strategie, cambino radicalmente le modalità di ideazione, produzione e applicazione dei farmaci e ridisegnino ruoli e competenze degli operatori.

Da un lato, la trasformazione del comparto richiede alle aziende di ricollocarsi e diversificarsi geograficamente, implementando la presenza nei mercati emergenti, laddove la domanda di assistenza sanitaria sta crescendo in maniera significativa, determinando la necessità di una redistribuzione globale delle capacità produttive. Dall’altro lato la partita si gioca sulla capacità delle imprese di cogliere e far proprie le nuove tecnologie, investendo in infrastrutture e in capitale umano.

Open innovation e scienza dell’input del paziente

Diversificazione quindi, ma anche condivisione, andando oltre il tradizionale modello di “closed innovation” e puntando sempre più sulla “open innovation”, in una logica di condivisione della conoscenza, di esternalizzazione della ricerca e di collaborazione tra imprese e startup.

Collaborazione che si declina anche in coinvolgimento del paziente nella ricerca e nella terapia farmacologica, ponendolo veramente al centro delle decisioni che riguardano la sua salute. La strada è stata segnata dallo statunitense 21th Century Cures Act, la cui finalità è disegnare un nuovo modello di R&D per accelerare e rendere più efficaci i processi di scoperta, sviluppo e delivery del farmaco e basato, tra l’altro, su una più stretta collaborazione tra accademia e industria, integrazione di sistemi digitali e app nella terapia, utilizzo di dati osservazionali e integrazione, appunto, della prospettiva del paziente nello sviluppo del farmaco e nel processo regolatorio.

La ricerca non è più appannaggio esclusivo dell’impresa farmaceutica: negli ultimi anni nel processo si sono inserite nuove figure – fondazioni (come Telethon), aziende IT, network di pazienti – che stanno assumendo il ruolo di “promotori” e di guida, soprattutto nella sperimentazione clinica. Il cambiamento di paradigma è così marcato che, per indicare il contributo del paziente – specialmente attraverso le associazioni – alla ricerca promossa da sponsor farmaceutici o accademia, gli esperti parlano di “scienza dell’input del paziente”,  scienza ancora agli albori, ma che si può presumere abbia un’evoluzione dirompente, tanto quanto quella delle tecnologie digitali.

Il rischio da gestire resta quello della sproporzione economica tra industria e pazienti e la minaccia di strumentalizzazione del rapporto che deve necessariamente essere basato su accordi collaborativi precisi e trasparenti. Compito di tutti gli stakeholder è orientare in modo corretto questa evoluzione che sta cambiando radicalmente il mondo farmaceutico e sanitario.