Il Servizio sanitario nazionale (Ssn) sembra destinato a un inarrestabile declino, stante la cronica scarsezza di fondi e i crescenti problemi di penuria di personale – sia medico che infermieristico – che mettono a dura prova l’operatività quotidiana di molti reparti in tutta la Penisola (ne abbiamo parlato qui).

Continuano le sperimentazioni di possibili modelli alternativi basati su una sinergia d’intenti e d’azione tra pubblico e privato: il confronto sulle innovazioni gestionali in sanità introdotte a partire dagli inizi degli anni ’90 è stato avviato con la presentazione – in un incontro presso l’Istituto superiore di sanità che ha visto anche la partecipazione di rappresentanti del ministero della Salute – di una ricerca condotta da Promo PA Fondazione e promossa dalla Clinica di Riabilitazione Toscana di Terranova Bracciolini.

Sul fronte del sostegno al Servizio sanitario pubblico, la Fondazione Gimbe ha posto l’attenzione sui dati ufficiali dell’Anagrafe dei fondi sanitari integrativi del Ministero della Salute per l’anno 2017 e sugli importi relativi alle detrazioni e deduzioni di imposta presentati dall’Agenzia delle Entrate. Dati che sono stati anche ripresi dal Rapporto della Corte dei Conti 2019 sul coordinamento della finanza pubblica.

Il monitoraggio delle sperimentazioni attive

La ricerca presentata all’Iss ha raccolto ed elaborato i dati, spesso non omogenei e non omologabili, delle sperimentazioni gestionali attivate nella diverse regioni italiane, risultate essere in totale cinquantasette. Di queste, quarantaquattro hanno concluso la fase sperimentale e operano ormai a regime in modo stabile.

L’incontro tenutosi all’Istituto superiore di sanità potrebbe rappresentare solo un punto di partenza, a giudicare dagli esiti resi noti attraverso un comunicato stampa, e potrebbe dar vita a uno snodo importante per indirizzare il futuro della sanità italiana. L’obiettivo uscito dai lavori, infatti, è dare continuità allo studio attraverso la creazione di una rete che dovrebbe vedere impegnati il ministero alla Salute, la Fondazione dell’Istituto superiore di sanita e la Fondazione Promo PA. L’obiettivo annunciato è arrivare in sei mesi all’organizzazione di un incontro nazionale in cui approfondire ulteriormente il dibattito sui possibili nuovi modelli modelli contrattuali e organizzativi.

Obiettivo di tutte le sperimentazioni, secondo la ricerca, è stata la trasmissione al mondo della sanità pubblica delle conoscenze gestionali e del know-how di partner privati, onde conferire maggiore efficienza, risparmio ed efficacia alla fornitura dei servizi sanitari. Se l’obiettivo è apparso uniforme, molto più variegate sono invece risultate essere la modalità e le scelte organizzative messe in atto per raggiungerlo all’interno delle diverse sperimentazioni.

Le società miste pubblico-privato

Secondo la ricerca, sarebbero particolarmente interessanti dal punto di vista della spinta innovativa che hanno saputo imprimere al settore un pool di quattordici soggetti con forma giuridica societaria prevalente mista pubblico-privata. Un insieme di soggetti che nel 2017 ha dato luogo a un valore della produzione di 382 milioni di euro (corrispondente al 22% del totale), con costi del personale per 187 milioni di euro.

Forse è proprio il termine della sperimentazione gestionale che va modificato perché sta cambiando profondamente il rapporto pubblico e privato in sanità. Ora esistono molte strutture a gestione mista e abbiamo bisogno urgente di comprendere come queste si collocano all’interno di un servizio sanitario nazionale molto complesso e che deve rispondere ai bisogni di salute di una popolazione in continua trasformazione. Di fronte al tema della cronicità, della non autosufficienza, di fonte ai problemi dell’innovazione tecnologica sempre maggiore, il Servizio alla Sanità ha sicuramente bisogno di una partnership tra pubblico e privato. Il modo in cui essa si forma è sicuramente da studiare e approfondire, e questa è un’occasione preziosa per capire cosa ha fatto e cosa può ancora fare il tema della sperimentazione gestionale”, ha spiegato nel suo intervento Mariadonata Bellentani, direttore generale della Programmazione sanitaria del ministero della Salute.

Ovviamente il rapporto con il privato è finalizzato, trasparente e propositivo – ha sottolineato il direttore generale della Clinica di Riabilitazione Toscana, Antonio Boncompagni, nel suo intervento -. Cogliere le migliori prassi di gestione e di flessibilità e di adattabilità che la componente privata ha introdotto attraverso questo tipo di partenariati anche nel settore pubblico, può essere di stimolo e di approfondimento utile”. La Clinica è un esempio di sinergia pubblico privato, essendo una Spa partecipata al 59% dalla Usl Toscana Sud Est, al 17% dal Comune di Terranuova Bracciolini, al 5% dall’Azienda ospedaliera universitaria senese (soggetti pubblici) e al 19% dalla Fondazione Maugeri (soggetto privato).

Dal Gimbe un nuovo appello al riordino della sanità integrativa

La Fondazione Gimbe ha invece rinnovato per voce del suo presidente Nino Cartabellotta l’appello a riconsiderare il quadro complessivo in cui operano i fondi sanitari integrativi. Secondo il Gimbe, infatti, il decreto Crescita in corso di finalizzazione da parte del governo non avrebbe riconosciuto la natura non commerciale dei fondi sanitari, “nonostante oltre quattro quinti di essi siano gestiti da compagnie assicurative, permettendo così alle agevolazioni fiscali concesse a enti non commerciali di alimentare i profitti di imprese commerciali“, ha spiegato Cartabellotta. Secondo la Fondazione Gimbe, gli strumenti di sanità integrativa e welfare aziendale permessi dall’attuale quadro legislativo costruirebbero un “sofisticato strumento di privatizzazione” in grado di togliere risorse alla finanza pubblica a vantaggio del privato. L’effetto finale sarebbe un aumento della spesa sanitaria totale senza riduzione di quella delle famiglie, che potrebbero anzi venire esposte a rischi legati a possibili fenomeni di sovra-diagnosi e sovra-trattamento.

L’obiettivo per il governo, suggerisce la Fondazione, dovrebbe quindi essere un riordino legislativo in cui alla sanità integrativa spetti il ruolo di rimborsare esclusivamente prestazioni non incluse nei Livelli essenziali di assistenza, che rimarrebbero invece esclusivo appannaggio del settore pubblico. “In un momento di gravissima difficoltà della sanità pubblica, pesantemente segnata dalla carenza e dalla demotivazione del personale, non è accettabile che le agevolazioni fiscali destinate a fondi integrativi e welfare aziendale favoriscano la privatizzazione del Ssn“, sostiene Nino Cartabellotta.

L’avanzare di un servizio sanitario “parallelo”

La realtà disegnata dalla Fondazione Gimbe è quella di una progressiva espansione di un servizio sanitario “parallelo”senza una reale “integrazione” tra i due binari pubblico e privato. L’analisi condotta dall’istituto di ricerca indipendente sui dati 2017 dell’Anagrafe dei fondi sanitari integrativi del Ministero della Salute ha censito un totale di 322 fondi, con oltre 10,6 milioni di iscritti. Questi ultimi sono in prevalenza persone che lavorano (73%) o loro familiari (22,3%), e solo in minima parte (4,7%) pensionati.

La grande maggioranza (85%) dei fondi sanitari è direttamente gestito o riassicurato da compagnie assicurative.  Nel 2017 i contributi versati da datori di lavoro/società di capitali sono ammontati a 2,05 miliardi di euro, corrispondenti a una spesa fiscale complessiva di € 493 milioni (considerando l’aliquota Ires del 24%). Il rapporto Gimbe segnala inoltre che ammonterebbero a € 11,2 mld i contributi versati ai fondi portati in deduzione da persone fisiche, per una spesa fiscale complessiva di quasi € 3.4 mld (considerando un’aliquota Irpef media del 30%). Una parte consistente dei contributi versati ai fondi (40%), inoltre, sarebbe destinata non alla copertura di spese sanitarie, ma piuttosto a quella dei costi amministrativi, degli oneri di riassicurazione e degli utili delle assicurazioni. Nel 2017, secondo il Gimbe, le risorse utilizzate per rimborsare le prestazioni agli iscritti sono ammontate a € 2.3 mld, di cui il 32% destinate a prestazioni integrative quali odontoiatria e long term care.

Il mancato gettito legato al welfare aziendale

La Fondazione Gimbe ha anche stimato per il 2017 un mancato gettito fiscale per i premi di risultato previsti dal welfare aziendale (i cui servizi s’indirizzano per il 40% proprio a diverse forme di sanità integrativa) pari a circa € 311 milioni, cifra basata su un assunto di 2,04 milioni di lavoratori che hanno percepito premi di risultato per un valore medio individuale stimato in € 1.270 e un’aliquota fiscale del 30%.

Attualmente, le persone fisiche o le imprese possono dedurre i contributi versati ai fondi sanitari integrativi iscritti all’anagrafe del ministero della Salute fino a un importo di € 3.615,20. Ciò a fronte di un impegno da parte del fondo ad utilizzare solo il 20% delle risorse per la copertura di prestazioni extra-Lea, duplicando di fatto per la maggior parte quanto già erogato dal Servizio sanitario nazionale.

La Fondazione Gimbe critica anche la crescente diffusione di “pacchetti” di prestazioni offerte da fondi e assicurazioni, che alimenterebbero il consumismo sanitario facendo leva sui lunghi tempi di attesa del Ssn e sul perseguimento dell’uguaglianza “più esami = più salute. A ciò si aggiungerebbe il fatto che i fondi sanitari selezionati dalle compagnie assicurative per gestire le polizze stipulate con le aziende assumono la gestione del contratto ai fini fiscali e contributivi, riversando alle stesse assicurazioni sotto forma di premio i contributi dei dipendenti. Non mancano anche le critiche nei confronti dei sindacati, che secondo la Fondazione Gimbe sarebbero responsabili di aver barattato una quota di salario e Tfr con agevolazioni minime per i lavoratori, con ripercussioni negative sul gettito fiscale.