Le terapie geniche rappresentano una delle frontiere più avanzate della medicina, e promettono di poter finalmente offrire una cura efficace per il cancro e molte malattie rare e ancora orfane. Come tutte le terapie innovative, anche questa classe di medicinali è caratterizzata da prezzi molto elevati, che potrebbero frenare il loro arrivo sul mercato. Un tema molto sfidante per le industrie biofarmaceutiche che hanno affrontato costi molto elevati per svilupparle e portarle fino all’approvazione da parte delle autorità regolatorie; tema che è stato approfondito da PwC Health Research Institute nel report “Beyond the hype: Gene therapies require advanced capabilities to succeed after approval“.

Un settore in crescita esponenziale

Il termine “terapia genica” comprende al suo interno un varietà di approcci diversi, dall’editing genomico, alla terapia cellulare con modifica genica di cellule autologhe del paziente, dall’uso di vettori virali o batterici ingegnerizzati a quello di plasmidi di Dna. In alcuni casi, è anche possibile far ricorso alla donazione allogenica di materiale cellulare, che può venire anche in questo caso modificato nel suo corredo genetico.

Secondo l’analisi di PwC, dal 2020 potrebbero essere più di duecento l’anno le nuove domande di investigational drugs presentate a FDA, e circa 10-20 l’anno le nuove approvazioni di terapie geniche e cellulari entro il 2025. Molti di questi nuovi trattamenti potrebbero comunque essere soggetti a studi post-approvazione, richiesti nell’ambito delle procedure accelerate sfruttate per arrivare più rapidamente al mercato. A queste sfide si aggiungono quelle dell’health technology assessment, mirate a trovare il giusto compromesso tra la remunerazione per l’azienda e la sostenibilità delle nuove terapie per i payer. Molte terapie geniche sono destinate a gruppi ristretti di pazienti, e pongono sfide sia sul piano della flessibilità della produzione che della sostenibilità della stessa sul lungo periodo.

Da scaling up a scaling out

Le terapie geniche, come quelle cellulari, sono il cuore della medicina personalizzata: il metodo generale di produzione viene di volta in volta applicato all’ottenimento di prodotti dedicati ai singoli pazienti. Cambia quindi completamente il concetto di “lotto” rispetto alla produzione di farmaci in bulk, e si passa dal concetto di “scaling up” della produzione fino ad arrivare alla grande scala a quello di “scaling out“, volto appunto a produrre lotti personalizzati rispetto ai bisogni specifici del singolo. Vengono quindi meno le economie di scala tipiche della fase post-approvazione dei farmaci destinati al mercato di massa, e si deve passare a un concetto di advanced manufacturing che pone alle aziende biotech sfide molto più importanti da punto di vista della possibilità di rientro sugli investimenti.

PwC ha individuato diversi possibili modelli per affrontare tali sfide; molte aziende, ad esempio, hanno puntato sulle operazioni di fusione e acquisizione per portarsi in casa le competenze e la proprietà intellettuale necessarie a produrre le terapie geniche (es. Thermo Fisher o Catalent), mentre altre hanno sviluppato un modello decentralizzato che localizza la produzione internamente ai siti ospedalieri di somministrazione per velocizzare l’accesso dei pazienti alle terapie (es. Ziopharm Oncology). Un fattore essenziale è anche quello umano: sono ancora poche le figure professionali già formate rispetto alle competenze necessarie a gestire questo tipo di tecnologie produttive, quindi le aziende sono chiamate  a pianificare investimenti in formazione, anche rivolti allo staff già in essere, per colmare questo gap.

Non meno importanti sono gli aspetti di qualità dei prodotti: gli starting materials biologici autologhi utilizzati per la produzione potrebbero essere disponibili in bassa quantità o essere di bassa qualità. Ciò rende più difficile ripetere l’intera produzione della terapia nel caso un lotto dovesse venire scartato in quanto non rispondente alle specifiche. La qualità potrebbe essere influenzata anche dall’inevitabile variabilità dei materiali cellulari ottenuti da pazienti diversi, e dall’impatto che la malattia ha su di essi.

Infine, anche la preparazione dei sanitari che effettuano il prelievo delle cellule autologhe dal paziente e, dopo la fase di produzione, somministrano la terapia influenza anch’essa la qualità della stessa. Da questo punto di vista, sottolinea il rapporto di PwC, le aziende dovrebbero estendere il concetto di “production facility” per includere al suo interno anche le strutture ospedaliere coinvolte, e rivolgersi sempre più verso un concetto di “certificazione del sito”. Alcuni centri ospedalieri, inoltre, hanno investito in prima persona in attività di ricerca, sviluppo e produzione nel campo delle terapie geniche, e possono quindi configurarsi come potenziali competitor delle aziende biotech.

Le sfide dei trial clinici e dei prezzi

Sono ancora pochi i centri ospedalieri in grado di gestire in modo adeguato le terapie geniche e cellulari, che implicano una gestione molto più complessa dei pazienti e necessitano anche della disponibilità di infrastrutture dedicate (come posti letto riservati in rianimazione). Ciò pone sfide alle aziende anche per quanto riguarda la possibilità di disporre di un numero sufficiente di centri per la conduzione degli studi clinici. Questi ultimi, riporta PwC, sono molto numerosi soprattutto per quanto riguarda le fasi precoci di sviluppo, mentre diminuiscono drasticamente in relazione alle fasi 3 e 4 (si veda la figura).

(credits: PwC Health Research Institute, “Beyond the hype”, Sept. 2019)

La capacità di sviluppare nuovi modelli di rimborso in grado di recepire le peculiarità delle terapie geniche è un elemento fondamentale per il loro successo sul mercato. Il rapporto di PwC ha analizzato alcuni esempi, quali l’opzione pay-over-time proposta da AveXis per la sua   terapia per l’atrofia spinale muscolare nei pazienti pediatrici, o i ribassi outcome-based utilizzati da Spark per il suo prodotto contro la distrofia retinica. Gli analisti indicano anche la possibilità di negoziare prezzi diversi per le singole indicazioni, basati su un diverso corpus di evidenze scientifiche che le sostengono, secondo l’approccio value-based.