Il mercato europeo dei farmaci biosimilari stenta a decollare ed è lo specchio del sottotrattamento che ancora coinvolge numerosi malati nel Vecchio Continente. L’introduzione dei biosimilari ha infatti determinato un impatto variabile sui mercati europei: grazie alle decise riduzioni di prezzo, infatti, l’avvento delle prime tre classi di biosimilari (ormone della crescita, epoetina e filgrastim) ha generalmente aumentato l’accesso ai trattamenti e lo stesso sta accadendo – anche se più lentamente – con i biosimilari degli anti TNF e degli oncologici, tuttavia nei Paesi a scarso acceso il fenomeno si protrae per quasi uno o 2 anni dopo il lancio del primo biosimilare.

Il tema dell’accesso alle terapie biologiche e del sottotrattamento in particolare nell’area delle malattie reumatiche è stato al centro di un simposio organizzato giovedì 21 novembre nell’ambito dei lavori del 39° Congresso nazionale della Società italiana di farmacologia, SIF, con il supporto non condizionato dall’Italian Biosimilars Group.

Punto di partenza lo studio – accettato al 56°Convegno della Società Italiana di Reumatologia (SIR) – realizzato dalla società di ricerca specializzata CliCon – Health, Economics & Outcome Research in collaborazione con il Dipartimento di Reumatologia dell’Istituto Gaetano Pini di Milano, analizzando i dati dei pazienti affetti da artrite reumatoide afferenti ad un campione di Asl afferenti a Lombardia, Veneto e Puglia.

«Sono stati inclusi nell’analisi tutti pazienti che nel quinquennio 2013-2017 hanno ricevuto una diagnosi di artrite reumatoide e ne è stata valutata la potenziale “eleggibilità” al trattamento con b-DMARDS in base a linee guida consolidate (terapia fallimentare per 6 mesi con metotrexato (MTX) e avvio trattamento con un secondo DMARD convenzionale sistemico, trattamento da almeno 6 mesi con corticosteroide oppure controindicazione alla terapia con MTX per danno renale, interstiziopatia polmonare, o danno epatico) – spiega l’economista Luca degli Esposti. – Ne è emerso che un ulteriore 10% dei pazienti diagnosticati potrebbe essere trattato con farmaci biologici: a livello nazionale si tratta di circa 26 mila persone».

Il nostro Paese – confermano gli esperti – è agli ultimi posti in Europa per utilizzo di queste terapie. E il sottotrattamento (complice l’accesso ritardato alle cure) si traduce anche in un aggravio di spesa per il SSN.

Il Libro bianco “The Impact of Biosimilar Competition in Europe”

A monitorare le ricadute di questo scenario la società di consulenza internazionale nel settore sanitario e farmaceutico IQVIA, che a fine ottobre ha presentato a Bruxelles il Libro bianco “The Impact of Biosimilar Competition in Europe”realizzato su richiesta della commissione Ue, con il supporto di EFPIA, Medicines for Europe e EuropaBio per la definizione degli indicatori chiave.

Il documento utilizza i dati 2018 descrivere gli effetti su prezzo, volume e quote di mercato conseguenti all’avvento della concorrenza biosimilare in Europa, sottolineando che oltre il 30% della spesa farmaceutica complessiva della comunità (177 miliardi) afferisce ormai ai medicinali biologici, di cui l’1,5% sono biosimilari. Essendo 16 molecole hanno prodotti biosimilari disponibili in Europa nel 2018 ciò significa che il 21% della spesa totale (12 miliardi di euro) è esposto alla concorrenza dei biosimilari.  

L’analisi economica di IQVIA evidenzia che in Europa una concorrenza biosimilare pienamente sfruttata determinerebbe una riduzione dei costi complessivi fino all’8% compensando e superando il costo delle nuove terapie innovative con ingresso sul mercato a partire dal 2019. A dimostrarlo i trend di penetrazione sul mercato di molecole importanti come adalimumab, la cui versione biosimilare è entrata in commercio nel 2018 e arrivata a quotare il 30% del mercato di riferimento nei primi 7 mesi dal lancio. I prezzi netti sono riservati e la dimensione dello sconto dipende anche dal prezzo di partenza dell’originator – sottolinea il report IQVIA. – Tuttavia è stato riferito che nei paesi scandinavi, durante il primo turno di gare d’appalto 2019, sono stati previsti sconti fino all’80%.

Occasioni di risparmio per i servizi sanitari nazionali e opportunità di migliore accesso alle cure per una più ampia platea di pazienti che rischiano di essere depotenziate non tanto dalle strategie adottate dagli originatori per rimanere competitivi (es. tramite prodotti di seconda generazione o riformulati; riduzioni medie dei prezzi), quanto dall’assenza di politiche coordinate capaci di creare meccanismi di concorrenza sostenibili a lungo tempo per i produttori di biosimilari.

Secondo lo studio, infatti, la gamma di costi per lo sviluppo di un biosimilare va da 100 a 300 milioni di dollari e nel 2019 appena 1/3 dei 95 biosimilari in uso in tutto il mondo ha superato la soglia dei 100 milioni di dollari di vendite. E anche l’aumento dei competitors tra i prodotti biosimilari, se da un lato favorisce un mercato più competitivo, dall’altro rischia di riflettersi negativamente sugli incentivi futuri.

La scorecard italiana

Al concetto di “sostenibilità” sono dedicate le Country Scorecard realizzate da IQVIA analizzano la situazione di 10 Paesi: Danimarca, Francia, Italia, Olanda, Norvegia Polonia, Romania, Spagna, Svezia, Regno Unito. Il focus è ancora una vota sui dati 2018. Gli indici sotto la lente, il livello di concorrenza (numero di concorrenti e rispettivi mercati); l’evoluzione dei prezzi (riduzione dal prezzo netto iniziale al prezzo medio di listino un anno prima del primo lancio biosimilare); l’evoluzione dei volumi di vendita (variazione complessiva del volume del mercato dei farmaci biologici dall’avvento dei biosimiari/maggior accesso alle terapie).

A illustrare il bilancio relativo al nostro Paese, al simposio SIF di Firenze, è stato Carlo Salvioni, vice presidente IQVIA Italia: «L’elemento positivo è rappresentato dal fatto che il governo centrale è chiaramente orientato a trarre vantaggio dalla concorrenza biosimilare, avendo anche definito un meccanismo di gara efficiente, ad aggiudicazione multipla, che punta in questa direzione. Ma persiste una variabilità della penetrazione dei prodotti a livello regionale e in qualche caso una certa complessità delle procedure d’appalto, sempre a livello locale».

«Un quadro che – ha proseguito Salvioni – può essere migliorato soprattuttosupportando le scelte politica farmaceutica dei governo locali e favorendo l’applicazione estensiva a livello nazionale del modello di gara con multi-aggiudicatari, con l’obiettivo di intensificare il livello di concorrenza nei mercati regionali, promuovendo nel contempo la sostenibilità a lungo termine dell’offerta terapeutica biosimilare sul mercato nazionale e la libertà prescrittiva dei medici».

«Il peso dei medicinali biologici è andato aumentando costantemente e lo stesso si prevede accadrà in futuro: da ciò discende l’importanza crescente dei biosimilari – sottolinea Stefano Collatina, coordinatore dell’Italian Biosimilars Group. – In tutte le aree terapeutiche interessate i biosimilari hanno garantito l’accesso al trattamento a un numero sempre più ampio di pazienti, che hanno potuto beneficiare delle cure in una fase anticipata del decorso della malattia, ottenendo così anche una migliore qualità della vita. Il risparmio generato – ha proseguito – dovrebbe consentire a più pazienti di essere trattati all’interno del budget esistente mentre grazie agli accordi di gain sharing gli ospedali possono trattenere il risparmio (corrispondente alla differenza tra DRG e spese) per destinarlo ad altre esigenze di trattamento». «Questo percorso virtuoso – ha concluso Collatina – è indispensabile per garantire il giusto incentivo all’innovazione futura da cui dipende la possibilità di riuscire a rispondere anche i bisogni terapeutici oggi non coperti».

«A prescindere dalle analisi economiche su cui non posso né voglio entrare – ha commentato infine il presidente della SIF, Alessandro Mugelli – vedo con soddisfazione che le perplessità che venivano espresse nel passato sull’utilizzo dei biosimilari in termini di efficacia e sicurezza si sono molto attenuate. Questo è probabilmente la conseguenza di quel percorso formativo che ha portato a far conoscere, non solo ai medici ma anche ai cittadini, le modalità con cui i biosimilari vengono introdotti in commercio». «Per quanto riguarda invece il dato molto rilevante del sottotrattamento riscontrato nella indagine che ci è stata presentata – ha proseguito – mi sembra evidente che esistano ragioni che vanno al di là del costo del farmaco e che sono probabilmente da ricondurre ad aspetti organizzativi e alla difficoltà di accesso agli ambulatori dei reumatologi da parte di cittadini in qualche modo svantaggiati nel percorso diagnostico terapeutico». «Sarebbe auspicabile – ha concluso Mugelli – destinare i risparmi generati dall’utilizzo dei biosimilari al miglioramento di questi percorsi di accesso alle terapie con farmaci biotecnologici».