In un’analisi sulle prospettive del servizio sanitario italiano per il post Covid-19, Boston Consulting Group propone tre soluzioni per affrontare la ripartenza.

La prima è quella della riforma del modello di sanità: il futuro vuole servizi più vicini ai pazienti, che assecondino la naturale transizione alla prossimità e ripristinino il ruolo della medicina territoriale, evidenziato come strategico dalla pandemia. Uno scenario che riconosce la digitalizzazione dei processi clinici e organizzativi come elemento imprescindibile. Ogni mese di chiusura ha comportato una perdita di 4-6 miliardi di euro, in termini di sospensione sia dell’attività elettiva che di quella preventiva, e un aumento significativo delle liste di attesa. Un dato che, producendo un ritardo diagnostico, non può non ricadere sugli outcome dei pazienti. Occorre, poi, affrontare il nodo dell’uniformità territoriale, implementando iniziative mirate a garantire equità di accesso alle cure nel Paese. Impossibile fare a meno del privato e delle sue disponibilità di investimento: da questo punto di vista occorre studiare un sistema integrativo adeguato.

La seconda riguarda l’attuazione di politiche industriali di scala incentrate sull’innovazione. Il mercato italiano è limitato per dimensioni, se è vero che oggi il fatturato complessivo delle prime tre aziende farmaceutiche italiane è pari a 7 miliardi di euro con un 5% del valore totale della produzione di investimenti in ricerca e sviluppo, contro i 40 miliardi di Francia e Germania (con il 9-12% del fatturato reinvestito in R&D). Come uscire, dunque, dall’impasse? Scegliendo di investire in settori in cui il gap dimensionale non rappresenti una barriera al successo, come quello delle malattie rare. Ma anche usando lo strumento dell’internazionalizzazione per crescere e raggiungere una scala maggiore e approfittare delle discontinuità causate dalla pandemia per adottare modelli commerciali innovativi puntando sul digitale.

La terza soluzione si sviluppa attorno all’innovazione in uno specifico campo, quello del life science, che nel nostro Paese produce oltre 30 miliardi di fatturato: l’Italia è il primo produttore di farmaci in Europa, con una crescita positiva in controtendenza rispetto
al Pil e investimenti per 2,3 miliardi di euro ogni anno. A fronte di questi dati positivi, persiste un ritardo nella formazione di capitale umano necessario a potenziare gli aspetti strategici del settore, che coincidono con quelli più attrattivi per i giovani. La prospettiva di creare un polo di innovazione attorno al life science può creare una crescita costante per i prossimi 10 anni del 10-15% anno del numero di brevetti e pubblicazioni, con la creazione di circa 20.000 posti di lavoro e un impatto di 3 miliardi di euro sul turnaround del settore farmaceutico. Con la messa in atto di iniziative volte al raggiungimento di questi tre obiettivi, gli occupati nel settore farmaceutico potrebbero aumentare globalmente di 45.000 unità, secondo le stime di BCG.