L’Organizzazione Mondiale della sanità ha un obiettivo ambizioso: eliminare il virus dell’epatite C (HCV). Il raggiungimento di questo traguardo è previsto entro il 2030 ma qualcosa sta andando storto. L’arrivo del virus Sars-Cov-2 e della conseguente pandemia di COVID-19, la malattia causata dal nuovo coronavirus, ha infatti complicato le cose e ora la data prevista per liberarsi definitivamente dalla grave malattia epatica rischia di slittare in avanti. Il lockdown, peraltro indispensabile, imposto dalle autorità governative di molte nazioni, e anche la paura di contrarre la malattia, hanno infatti provocato il rallentamento nell’erogazione dei consueti servizi sanitari con conseguenti ritardi diagnostici e terapeutici in certi casi fatali.

La scarsa crescita del numero degli screening per l’epatite C eseguiti quest’anno rappresenta un esempio dei danni collaterali causati dalla pandemia e le conseguenze sulla popolazione sono chiare nelle affermazioni del Prof. Antonio Craxì, Ordinario di Gastroenterologia presso l’Università degli Studi di Palermo: “La pandemia ha rallentato in maniera assai significativa il programma di eliminazione dell’HCV. Si calcola che un ritardo di un anno nella cura per l’epatite C peserà fra 5 anni in aumento di circa 7mila morti per cirrosi da HCV, solo per l’Italia”. 

I dati dell’Agenzia Italiana del Farmaco

I dati dell’Agenzia Italiana del Farmaco, aggiornati al 21 settembre 2020, confermano appieno la stagnazione degli screening HCV dell’anno in corso. Sono 213.052 le persone colpite dal virus dell’Epatite C che sono all’inizio del trattamento di eradicazione dell’HCV.

Sicuramente rappresentano un numero rilevante, ma, fatto il confronto con le cifre dello stesso periodo dell’anno scorso (193.815), appare evidente che l’incremento annuo di circa 20.000 unità è così scarso da mettere in dubbio il raggiungimento dell’obiettivo dell’eliminazione dell’epatite C per il 2030.

Il percorso necessario per chiudere i conti con l’HCV in modo definitivo passa attraverso due fasi: diagnosi e terapia.

Sono quindi necessari dapprima estesi e sistematici screening sulla popolazione per far emergere coloro che hanno contratto il virus e non lo sanno (i cosiddetti ‘sommersi’, stimati tra i 200 e i 300.000), e, in seguito, bisogna somministrare i farmaci specifici per la cura dell’epatite C, i cosiddetti nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA).

La loro azione è efficace in tempi rapidi e non comporta gravi effetti collaterali. Il loro utilizzo, se accompagnato da una rapida ed robusta ripresa dell’attività di screening, potrebbe ancora permettere l’eliminazione della malattia entro i tempi stabiliti dall’OMS, quindi niente è ancora perduto in modo irrimediabile.

Il progetto MOON di Abbvie, una serie di webinar svolti in questi mesi e rivolto essenzialmente a tre categorie di specialisti medici: infettivologi, epatologi ed internisti, è focalizzato sull’obiettivo di pianificare e costruire una rete strategica per combattere il virus HCV. 

L’infezione da HCV

La malattia determinata dal virus dell’epatite C può evolvere in modo peggiorativo verso la cirrosi epatica e il carcinoma del fegato, danneggiando l’organo in modo irreversibile e causando alla fine la morte del paziente. 

In italia i malati di cirrosi epatica sono circa 200.000.

La causa di questa malattia è da ricondursi a:

  • infezione da HCV, 50% dei casi
  • abuso di alcol etilico, 20% dei casi 
  • steatosi epatica non alcolica (NAFLD), 20% dei casi
  • infezione da HBV, il virus dell’epatite B, 10% dei casi

il Prof. Antonio Craxì spiega che “Il trapianto epatico è una risorsa salvavita per questi pazienti se in fase avanzata, ma è applicabile, per età o per altre comorbidità e in ogni caso per disponibilità di organi, per 1 paziente ogni 20 che muoiono di cirrosi”.

Le terapie antivirali stanno riducendo in modo significativo la mortalità da infezioni HCV e HBV anche se non eliminano il rischio di ammalarsi di cancro. “Lo screening per HCV, finanziato con 71,5 milioni quest’anno dovrebbe consentire il completamento dei programmi di eradicazione di HCV” conclude il Prof. Craxì.

Inoltre, in considerazione del fatto che l’infezione da HCV si estende anche a livello sistemico, la sua eradicazione “permette in molti casi la cura non solo della malattia epatica ma ne impedisce la sua progressione anche nell’ambito extraepatico”. Lo afferma la Prof.ssa Erica Villa, Ordinario di Gastroenterologia presso l’Università di Modena e Reggio Emilia”. Per questo motivo “eradicare l’infezione da HCV equivale a ridurre a livello globale il rischio di mortalità e morbidità da cause epatiche ed extraepatiche” spiega ancora l’esperta.

Screening congiunti

Una delle strategie in corso di valutazione per far ripartire gli screening dell’epatite C risparmiando tempo e risorse in tempi di pandemia, riguarda la realizzazione di test diagnostici congiunti che permettano di evidenziare la presenza di anticorpi sia contro Sars-Cov-2 sia contro HCV. “Recentemente”, riferisce il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT (Società Italiana Malattie Infettive e Tropicali) e Professore Ordinario di infettivologia all’Università di Roma Tor Vergata “alcune iniziative in tal senso sono state avviate in importanti piazze italiane, a Roma a Piazza del Popolo e a Villa Maraini, dove il test congiunto si è rivolto a una delle categorie maggiormente coinvolte, coloro che fanno uso di droghe per via endovenosa. Ciò ha reso possibile l’analisi di diverse centinaia di soggetti, permettendo di arrivare a numerose diagnosi di epatite C. L’aspettativa è che queste iniziative possano moltiplicarsi a livello nazionale, sia sul territorio che presso strutture sanitarie”.

Necessaria la collaborazione con i medici di famiglia

La prof.ssa Maurizia Brunetto, Direttore UO Epatologia, Centro di Riferimento Regionale per la diagnosi e il trattamento delle epatopatie croniche e del tumore di fegato e Professore Straordinario Medicina Interna, Dipt. di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa, ritiene che, per scoprire gli infettati da HCV ancora sconosciuti perchè non sanno di avere il virus, sarà necessario rafforzare la comunicazione e la collaborazione tra Medicina Territoriale e Centri Prescrittori. Inoltre, spiega ancora l’esperta, saranno fondamentali due aspetti in particolare: “ottenere un più pieno coinvolgimento dei Medici di Medicina Generale, che devono diventare i protagonisti del percorso di cura grazie all’identificazione del soggetto infetto” e anche “creare percorsi semplici per accedere allo screening e quindi al trattamento: in questo momento il soggetto affetto da HCV ma asintomatico evita le strutture sanitarie per timore dell’infezione da SARS-CoV2 ed è ancora più difficile da individuare”.