Un team di ricercatori coordinato da Rodrigo Oliveira Mascarenhas, professore associato del dipartimento di fisioterapia presso l’Università Federale di Vales do Jequitinhonha e Mucuri in Brasile, ha eseguito una meta-analisi su 224 studi che si sono occupati di valutare il dolore e la qualità di vita di 29.962 pazienti affetti da fibromialgia.
Per la misurazione dell’intensità algica nei malati sono stati utilizzate diverse metodiche mentre l’impatto della malattia sulla qualità della vita dei pazienti è stato analizzato utilizzando il Fibromyalgia Impact Questionnaire. I risultati del lavoro dell’equipe brasiliana sono stati pubblicati su JAMA Internal Medicine e hanno portato alla conclusione che attualmente, purtroppo, non vi sono prove scientifiche chiare ed evidenti della reale efficacia delle terapie farmacologiche utilizzate per combattere la fibromialgia. Questa patologia, nota anche come sindrome del dolore miofasciale, è caratterizzata da una serie di sintomi tra i quali dolori muscolari diffusi, talora di importante intensità, disturbi del sonno, stanchezza cronica, difficoltà di concentrarsi, sensazione di ottundimento mentale. La causa è sconosciuta e la fibromialgia, pur potendo colpire chiunque indipendentemente dalla fascia di età e dal sesso, è sette volte più frequente nelle donne giovani e di mezza età.
Le strategie terapeutiche
Sono tre i farmaci approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense per la cura della malattia: pregabalin, duloxetina e milnacipran. Questi medicamenti, però, non hanno ottenuto risultati importanti nel lenire la sintomatologia della fibromialgia. Gli stessi autori dello studio hanno infatti dichiarato che “I dati di real life pubblicati negli ultimi anni, insieme all’esperienza clinica dei medici che si occupano di questa popolazione di pazienti, indicano che solo una minoranza di pazienti con fibromialgia continua ad assumere farmaci per più di un breve periodo di tempo a causa di una mancanza di efficacia, effetti collaterali o entrambi”.
Le linee guida per la cura della sindrome del dolore miofasciale presenti in letteratura indicano che il migliore approccio terapeutico è quello multidisciplinare: farmaci, terapia cognitivo-comportamentale (CBT), allenamento fisico.
L’analisi condotta dal team di ricercatori brasiliani riguarda diversi tra questi presidi terapeutici. Gli scienziati hanno messo in evidenza, in particolare, che vi sono prove di elevata qualità che supportano l’efficacia della CBT nel combattere il dolore fibromialgico a breve termine (differenza media ponderata [WMD]=–0,9; IC 95%, da –1,4 a –0,3).
Sono altresì emersi validi elementi che depongono per l’efficacia dei depressivi del sistema nervoso centrale (WMD=–1,2; IC 95%, da –1,6 a –0,8) e degli antidepressivi (WMD=–0,5; IC 95%, da –0,7 a –0,4).
Per quanto riguarda il miglioramento della qualità della vita a breve termine, le evidenze indicano la validità dell’impiego degli antidepressivi (WMD=-6,8; 95% CI, da -8,5 a -5,2), mentre a medio termine è risultato efficace l’uso dei depressivi del sistema nervoso centrale (WMD=-8,7; 95% CI, – Da 11,3 a –6) e degli antidepressivi (WMD=–3,5; IC 95%, da –4,5 a –2,5).
Tuttavia, come dichiarato dagli stessi autori, l’effetto benefico riscontrato da questi presidi terapeutici non sembra essere significativo perché non viene raggiunto un valore minimo di cambiamento della sintomatologia che sia rilevante sul piano clinico: (solo due punti su una scala di 11 per quanto riguarda la diminuzione del dolore e appena 14 punti su una scala di 101 per quello che concerne il miglioramento della qualità di vita).
Sulla base dei risultati ottenuti dalla meta-analisi, Mascarenhas e i suoi colleghi hanno quindi concluso che “I medici dovrebbero essere consapevoli che le prove attuali per la maggior parte delle terapie disponibili per la gestione della fibromialgia sono limitate a piccoli studi di bassa qualità metodologica“.