Il coronavirus SARS-CoV-2, agente causale dell’infezione Covid-19 (Coronavirus Disease 19), malattia che ha provocato la pandemia che ha finora ucciso oltre 1.400.000 persone e sconvolto le economie mondiali, è apparso sulla terra per la prima volta nel mese di dicembre del 2019 a Wuhan, metropoli cinese localizzata nella provincia dell’Hubei della vastissima e popolatissima nazione asiatica.

Come tutti i virus, anche il nuovo coronavirus può mutare, e questo fatto ha tenuto e tiene tuttora in apprensione il mondo intero perché cambiamenti della struttura virale potrebbero portare a una diffusione maggiore della malattia oppure a manifestazioni cliniche ancora più gravi di quelle provocate finora. Anche i vaccini attualmente in fase di sviluppo potrebbero risultare inefficaci in caso di mutazioni importanti di SARS-CoV-2.

Ma qual è la situazione attuale?

Le analisi eseguite finora su 150.000 genomi virali hanno dimostrato che, dalla sua comparsa ad oggi, le mutazioni di SARS-CoV-2 hanno prodotto sei diversi sottogruppi, e secondo Antonino Di Caro, direttore del laboratorio di microbiologia dell’Istituto Lazzaro Spallanzani, uno di questi era già in circolazione in Italia nel mese di aprile del 2020 per poi diffondersi successivamente in altri Paesi del vecchio continente. 

Le ricerche hanno anche potuto accertare che, fortunatamente, il nuovo coronavirus muta 5-10 volte di meno rispetto ad altri agenti virali già noti come, ad esempio, quello dell’influenza e dell’epatite C, in virtù di un sistema di riparazione posseduto da SARS-CoV-2 che sembra efficiente nel riparare gli errori che avvengono durante le fasi di replicazione virale.

Un team di ricercatori dell’Università del Wisconsin-Madison ha di recente dimostrato su modelli animali e in vitro, che, almeno fino adesso, una sola mutazione del virus ha modificato l’attività virale in modo negativo per gli esseri umani. Si tratta della cosiddetta variante D614G. Questa mutazione ha reso il virus più contagioso ma non ha modificato il quadro clinico della malattia che presenta le stesse caratteristiche di gravità di prima.

Yoshihiro Kawaoka, virologo presso la UW School of Veterinary Medicine dell’Università di Tokyo e responsabile dello studio dell’Università del Wisconsin-Madison ha dichiarato in merito: «Abbiamo visto che il virus mutante trasmette meglio nell’aria rispetto al virus (originale), il che potrebbe spiegare perché questo virus ha dominato negli esseri umani».
I risultati dell’indagine scientifica sono stati pubblicati su Science il 12 novembre scorso.

Un’altra variante virale, che ha destato di recente non poche preoccupazioni è quella scoperta in un allevamento di visoni in Danimarca. Chiamata cluster 5, ha contagiato, ma in modo non grave, 12 lavoratori del settore che sono stati infettati dagli animali a loro volta colpiti dal virus trasmesso dall’uomo. A seguito della scoperta di cluster 5, il governo danese ha ordinato l’eliminazione di tutti i visoni allevati nel Paese, circa 15 milioni di esemplari ed è notizia recente data dalle autorità del Paese Scandinavo che questo nuovo ceppo non è più in circolazione e quindi non costituisce un pericolo per l’uomo.

Giorgio Palù, emerito di virologia all’università di Padova e di recente nominato presidente dell’agenzia italiana del farmaco, (Aifa), ha dichiarato in merito al nuovo coronavirus: «Il suo comportamento ci fa pensare che intende permanere nella specie umana e di non voler estinguersi. Sta continuando il suo percorso di adattamento e tutto fa pensare che voglia trovare una forma di convivenza con noi».