Un’interessante e promettente scoperta per aiutare le persone che hanno subito un trapianto d’organo ad affrontare Covid-19 è stata recentemente realizzata da un gruppo di ricercatori dell’ospedale Niguarda di Milano. Gli esperti italiani hanno infatti rilevato che alcuni medicamenti immunosoppressivi, come ad esempio Tacrolimus, avrebbero la capacità di prevenire le forme più gravi dell’infezione sostenuta dal coronavirus SARS-CoV-2 riducendo in questo modo i casi mortali soprattutto nei soggetti che hanno ricevuto un fegato nuovo.

La sperimentazione ha coinvolto 40 Centri Trapianto in tutta Europa sotto il coordinamento degli specialisti dell’Epatologia e del Transplant Center dell’Ospedale Niguarda di Milano, e sono stati ben 250 i pazienti ammalati di Covid-19, arruolati nel corso della prima ondata pandemica, a partecipare allo studio. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista specializzata Gastroenterology

Luca Belli, direttore dell’Epatologia e Gastroenterologia e Principal Investigator dell’indagine scientifica, spiega che l’esigenza di eseguire uno studio di questo genere è nata dal dubbio che i clinici si sono posti riguardo al trattamento immunosoppressivo da intraprendere nei soggetti trapiantati dopo lo scoppio della pandemia. Molti erano infatti gli interrogativi che riguardavano la terapia da somministrare ai pazienti: cosa fare? “tenerla invariata, rimodularla o addirittura in qualche caso sospenderla?” si sono chiesti Belli e gli altri esperti.

«Lo studio ha consentito di aggiungere un nuovo tassello alla cura dei nostri trapiantati, per i quali alcuni farmaci immunosoppressori, il Tacrolimus in particolare, si sono rivelati utili per prevenire le forme più gravi della malattia Covid-19. Quanto osservato è importante per i trapiantati di fegato ma avrà ricadute cliniche trasversali a tutto il mondo dei trapianti e non solo: in Spagna, infatti, si sta sperimentando l’efficacia di una terapia di combinazione che prevede l’impiego del Tacrolimus con steroidi, anche in soggetti non trapiantati», ha affermato l’esperto italiano.

Ruoli essenziali per la buona riuscita della ricerca sono stati svolti sia dallo spirito di squadra con il quale è stata affrontata l’esecuzione delle indagini da parte dei ricercatori residenti in aree geografiche distanti tra loro, sia dalla tecnologia. 

La rete europea Esot/Elita (European Society for Organ Transplantation e European Liver Transplant Association) e il registro internazionale Eltr (European Liver Transplant Registry), che funge da contenitore dei dati che riguardano tutti i trapianti di fegato eseguiti nei 149 Centri Trapianto europei da oltre 35 anni, hanno infatti permesso la corretta trasmissione dei dati necessari, fondamentale per il corretto svolgimento della sperimentazione. Altrettanto preziosa si è rivelata la stretta collaborazione tra gli specialisti dell’ospedale milanese coinvolti nello studio, tra questi epatologi, infettivologi, chirurghi e anestesisti.