Il glioblastoma è uno dei tumori cerebrali più comuni, mortali e difficili da trattare. La rimozione chirurgica del tumore, seguita dalla radioterapia e dalla somministrazione di temozolomide (TMZ), è l’attuale modalità di trattamento, ma questo regime migliora solo la sopravvivenza complessiva del paziente. L’attuale sopravvivenza mediana (SM) per i pazienti con glioblastoma è di circa 18 mesi; il tasso medio di sopravvivenza a cinque anni è inferiore al 5%.

Il glioblastoma però ha un punto debole, un meccanismo, che se bloccato, impedirebbe la progressione della malattia. Le cellule tumorali di glioblastoma inviano un segnale, noto come STAT3, per indurre le cellule immunitarie a garantire loro un passaggio sicuro all’interno del cervello. Ad impedire cure efficaci è quella barriera di cui ognuno di noi è dotato: la barriera emato-encefalica (BBB). La barriera emato-encefalica comprende uno strato di cellule endoteliali, che rivestono i vasi sanguigni nel cervello, che consente solo a determinati tipi di molecole di passare dal flusso sanguigno al fluido che circonda i neuroni e altre cellule del celebrali. Essa impedisce il trasferimento della maggior parte dei farmaci (come peptidi, proteine e farmaci a base di geni) e quindi un efficace trattamento di disturbi neurodegenerativi, tumori cerebrali, infezioni cerebrali e ictus. Sebbene la barriera emato-encefalica sia considerata “permeabile” nella parte centrale dei glioblastomi (GBM), il passaggio efficiente delle terapie antitumorali, comprese piccole molecole e anticorpi, è ancora impedito.

Oggi, però, una nuova speranza si fa efficacemente strada: grazie alla nanomedicina, si è stati in grado “rompere” la barriera emato-encefalica nei topi. I ricercatori dell’Università del Michigan riferiscono di aver sviluppato una nuova nanoparticella di proteine sintetiche in grado di passare attraverso la barriera emato-encefalica che potrebbe fungere da vettore di farmaci anti-cancro direttamente ai tumori cerebrali maligni.«Ispirati dalla capacità di alcune proteine naturali e dei particolati virali di attraversare la barriera emato-encefalica, è stata progettata una nanoparticella proteica sintetica a base di albumina sierica umana polimerizzata (HSA) dotata di un peptide penetrante nelle cellule chiamato iRGD, che funge da dispositivo di ricerca del tumore», spiega il dottor Dario Sannino.

In combinazione con le radiazioni, i ricercatori hanno iniettato una nanoparticella in grado di trasportare un inibitore di STAT3 e il peptide già menzionato oltre la barriera emato-encefalica. La terapia per via endovenosa ha funzionato ed è stata osservata la sopravvivenza a lungo termine in sette topi su otto. Quando quei sette topi hanno avuto una recidiva di glioblastoma, le loro risposte immunitarie sono intervenute per prevenire la ricrescita del cancro, senza ulteriori farmaci terapeutici o altri trattamenti clinici. Anche la combinazione di farmaci terapeutici e metodi di somministrazione delle nanoparticelle ha prodotto memoria immunologica.

«E’ un enorme passo avanti verso l’implementazione clinica – ha aggiunto il dott. Sannino – Questo è il primo studio a dimostrare la capacità di somministrare farmaci terapeutici per via sistemica o endovenosa, che possono anche attraversare la barriera emato-encefalica e raggiungere i tumori».

Terapia Sopravvivenza
Placebo 28 giorni
Nanoparticelle + inibitore STAT3 41 giorni (+45%)
Inbitore STAT3 33 giorni (+5%)

 

La tabella qui sopra evidenzia chiaramente l’impatto positivo ottenuto con l’utilizzo di nanoparticelle “familiari” alla nostra barriera emato-encefalica. Sette degli otto topi hanno raggiunto la sopravvivenza a lungo termine e sono apparsi completamente privi di tumore, senza segni di cellule tumorali maligne e invasive. La scoperta potrebbe un giorno portare a nuove terapie cliniche per il trattamento del glioblastoma e potrebbe portare a ulteriori terapie che adottano il loro metodo per altri tumori poco sensibili all’attuale tecnologia di somministrazione (tumori “non farmacologici”).