I nanodots sono nanoparticelle di carbonio, scoperte nei primi anni 2000, che presentano peculiari caratteristiche e proprietà fisiche e chimiche di biocompatibilità, solubilità in acqua, facilità di sintesi e modifica funzionale della superficie che le rendono interessanti in molti campi applicativi, tra cui la diagnostica e la nanomedicina.

Il processo di formazione dei nanodots e le loro caratteristiche strutturali, chimiche e fotofisiche sono stati al centro di un progetto di ricerca guidato dall’Università di Trieste, in collaborazione con Elettra Sincrotrone Trieste e CIC biomaGUNE, San Sebastian (Spagna), i cui risultati sono stati recentemente pubblicati su Nature Communications. Lo studio è parte del più ampio progetto “e-Dots”, finanziato dalla Comunità Europea come ERC Advanced Grant. Già nel 2008 Maurizio Prato, professore ordinario di chimica organica dell’Università di Trieste, aveva usufruito di un altro finanziamento ERC per il progetto Carbonanobridge, in cui sono state studiate le interazioni dei nanotubi di carbonio con il sistema nervoso.

Una struttura a due strati

L’osservazione del processo di formazione dei nanodots, con monitoraggio della forma, della luminescenza e dei gruppi funzionali presenti sulla superficie delle nanoparticelle, hanno permesso al gruppo coordinato da Maurizio Prato di confermare che questo tipo di particelle è caratterizzato da una parte parte interna più dura e una esterna più flessibile. 

La figura riporta lo schema della reazione: si formano grandi aggregati (percorso 1) e piccole molecole (percorso 2). I grandi aggregati (LA) non portano a fluorescenza, come si vede dall’immagine di destra, mentre piccole molecole possono evolvere a piccole particelle molto fluorescenti (SP) o carbon nanodots (CNDs) (credits: Università di Trieste)

Il nucleo interno dei nanodots ospita i cosiddetti cromofori, sostanze che conferiscono alle nanoparticelle particolari proprietà luminescenti che le rendono candidati ideali per la diagnostica per immagini. Una tipica applicazione futura potrebbe vedere i nanodots impiegati per sviluppare agenti di contrasto per la risonanza magnetica, uno dei campi applicativi più promettenti.

Sempre nei laboratori triestini sono state investigate anche possibili applicazioni quali veicoli per l’intelligent drug delivery, in cui molecole ad azione terapeutica sono state usate per funzionalizzare la superficie dei nanodot. Tra i possibili esempi applicativi vi potrebbe essere l’individuazione e il legame selettivo con cellule tumorali bersaglio, un approccio che permetterebbe di ridurre gli effetti collaterali della terapia antitumorali a carico delle cellule sane. 

Per studiare queste applicazioni – ha precisato Maurizio Prato – sarà importante stabilire il profilo di biosicurezza e verificare in maniera incontrovertibile l’innocuità dei carbon nanodots. Gli studi finora condotti non hanno riscontrato effetti tossici, ma continueremo a indagare. La nanomedicina promette di rivoluzionare la medicina tradizionale grazie alle potenzialità dei nanomateriali, ma stiamo compiendo appena i primi passi in questa direzione. La nano-oncologia, che mira a migliorare l’efficacia dei tradizionali farmaci antitumorali, potrebbe rappresentare la nuova frontiera nella cura di queste patologie“.