Pubblicati a giugno sugli Annali dell’Istituto Superiore di Sanità, i dati della sorveglianza PASSI (Progressi delle Aziende Sanitarie per la Salute in Italia) sui comportamenti a rischio descrivono un trend confortante circa la diffusione del fumo tra i professionisti della sanità.
La prevalenza di fumatori, definiti con il criterio fissato dall’Oms in base al consumo di almeno 100 sigarette nel corso della vita e dalla persistenza dell’abitudine o in alternativa dalla cessazione da meno un anno, è stata calcolata nel quinquennio 2014-2018 in un campione di 1.253 medici, 4.840 operatori sanitari di diversa professionalità (infermieri, ausiliari, tecnici, biologi, chimici) e 87.749 lavoratori di altri settori. La percentuale di fumatori dell’ambito sanitario è risultata essere pari al 23%, ma con una consistente differenza tra il 16% dei medici e il 25% degli altri operatori, che non si discosta molto dal 28,6% dei non sanitari.
Più marcato tra i medici anche il declino dell’abitudine al fumo, con una diminuzione della quota di consumatori di sigarette di oltre 40%. L’analisi multivariata ha messo in evidenza un’associazione tra la prevalenza di fumatori e alcuni fattori demografici, socioeconomici e geografici, anche questa diversificata in base alla categoria professionale di appartenenza. Nei medici il fumo è diffuso tra gli uomini più che tra le donne, tra i giovani più che tra gli over 50 e al Sud più che al Nord. A determinare il maggior ricorso alla sigaretta tra gli altri operatori della sanità sono invece le condizioni di disagio economico e un livello di istruzione inferiore alla laurea. I lavoratori degli altri settori fumano di più se di sesso maschile, di età più giovane, meno istruiti, in difficoltà economiche e residenti in Centro Italia.