Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine (NEJM) propone un nuovo approccio alla decisione se intraprendere o meno una chemioterapia in casi di tumore alla mammella che riguardano donne in post-menopausa. Più in particolare, i ricercatori propongono la possibilità di evitare la chemio e di ricorrere solo a terapia endocrina post-chirurgia per quelle pazienti con tumori che risultino positivi per l’hormone receptor (HR) e negativi per lo human epidermal growth factor receptor 2 (HER2), che vedano una diffusione della malattia fino a tre linfonodi e che abbiano un punteggio minore a 25 al test 21-gene recurrence score (RS). Quest’ultimo misura il livello d’espressione di 21 geni specifici dei tessuti tumorali ritenuti prognostici del rischio di ricorrenza del tumore. Lo studio ha convolto 632 siti diversi in nove paesi, per un totale di oltre 5 mila pazienti arruolate.

I dati principali

Lo studio RxPONDER è stato condotto dallo SWOG Cancer Research Network , finanziato dal National Cancer Institute (NCI) stutunitense. I ricercatori guidati da Kevin Kalinsky (Emory University) hanno monitorato la sopravvivenza a cinque anni dal trattamento in termini di invasive disease-free survival (IDFS), ovvero la percentuale di donne ancora vive e senza ricomparsa del tumore o comparsa di un secondo tumore primario invasivo. I risultati indicano, sul totale della popolazione esaminata, l’assenza di differenze statisticamente significative tra le pazienti trattate con chemio e terapia endocrina (IDFS 91.3) rispetto a quelle che hanno ricevuto la sola terapia endocrina (91.9).

Tale differenza emergerebbe, invece, a livello delle sole donne in pre-menopausa (89.0 solo terapia endocrina vs 93.9 con anche la chemioterapia adiuvante), che hanno rappresentato un terzo circa del campione: in questo caso, il 40% circa delle pazienti hanno ricavato un beneficio dalla chemioterapia. “Abbiamo visto che le donne in post-menopausa con da uno a tre nodi positivi e un punteggio RS da 0 a 25 possono fare a meno in sicurezza della chemioterapia adiuvante senza compromettere l’IDFS; ciò permetterà di far risparmiare a migliaia di donne il tempo, i costi e i potenziali effetti dannosi associati alla chemioterapia”, ha commentato Kalinsky. La presenza di una diffusione del tumore che interessi già i linfonodi, inoltre, è indice di un maggior rischio che la malattia si ripresenti dopo il primo ciclo di trattamento.