Nell’editoriale del mese scorso ho nuovamente portato in evidenza la necessità di cambiare e le difficoltà che molto spesso si incontrano per realizzare questo obiettivo. In questo numero di NCF, il lettore può trovare tre articoli molto interessanti e complementari tra di loro, a supporto della necessità di innovare.

Il primo di questi, “Cavalcare l’onda del cambiamento” (pag. 38) che è quasi una premessa agli altri, è una intervista ad Andrea Ghirardi, Presidente e CEO del gruppo L-Nutra Europe. Le risposte alle domande poste da Giuliana Miglierini sono una puntuale analisi del momento che il mondo Healthcare sta vivendo e un “condensato” di valutazioni, interpretazioni e suggerimenti estremamente rilevanti e pertinenti; una visione molto lucida che ritengo debba essere presa in grande considerazione da tutti quanti noi ci troviamo a operare nel mondo Healthcare, con particolare riferimento ai giovani che stanno entrando nel mondo del lavoro, ai quali Andrea Ghirardi rivolge questa raccomandazione: “È necessario sapere mescolare i linguaggi, uscire dai canali fissi. Da questo punto di vista, la chasing innovation è la chiave d’interpretazione che consente di guidare al meglio le scelte di sviluppo professionale», messaggio rivolto agli studenti del corso di Scienze Farmaceutiche dell’Università degli Studi di Milano nel corso di un recente seminario.

Passando al secondo articolo trovo molto interessante e pertinente l’argomento che viene affrontato nell’articolo di Viviana Persiani “Seed 4 Innovation, contribuire all’innovazione industriale e scientifica” (pag. 48). La giornalista affronta il tema della Open Innovation molto attuale in questo momento; per semplificare di cosa si intenda prendo in prestito una definizione che credo sia di facile comprensione per tutti:”L’Open Innovation è un paradigma che afferma che le imprese possono e debbono fare ricorso a idee esterne, così come a quelle interne, ed accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche…”. In pratica, è un invito per le Aziende ad ascoltare, attenti all’evoluzione del mercato di riferimento, pronti a cogliere le idee ed i contributi che possono provenire da chi, come ad esempio le start up e il mondo universitario stanno sperimentando nuovi percorsi e nuovi processi.

Ho lasciato per ultimo l’articolo di Giovanni Abramo, “Technology transfer, una condivisione vincente” (pag. 54), in quanto considero questa attività la logica conclusione di un percorso fatto insieme da due Aziende, quella che ha sviluppato e quella che deve proseguire industrializzando a sua volta i processi ed il prodotto in questione. Se ci pensiamo bene, con parole molto semplici tutti noi siamo incappati ed incappiamo quotidianamente nel “technology transfer”; ci capita praticamente da quando eravamo bambini e, osservando quello che facevano gli adulti, acquisivamo nozioni ed apprendevamo informazioni che ci permettevano di avviare le nostre prime esperienze di vita.

Mi piace ricordare, e mi scuso per il voluto divagare, i piatti della cucina ligure che mia madre preparava per noi e che, osservandola in cucina cercavo di emulare, fino a quando, su mia esplicita richiesta, le avevo chiesto di lasciarmi le ricette; cosa che aveva fatto, scrivendole rigorosamente a mano, oltre 30 anni fa; testimonianza di “Gastronomical transfer” 1.0 che ancora custodisco gelosamente. Più o meno allo stesso tempo, quarantenne, passai una settimana a Parigi per partecipare a un incontro con un’azienda terzista che liofilizzava, per la Azienda in cui lavoravo, una cefalosporina. La mia “mission” era quella di osservare il processo, prendere nota (rigorosamente a mano su un quaderno ancora oggi presente tra i miei ricordi) di tutti i passaggi, di tutti gli IPC, i parametri di impianto da tenere sotto controllo, per essere in grado, al mio rientro in Italia di trasferire quanto avevo imparato a un terzista italiano che avrebbe preparato i vials liofilizzati per conto nostro. Questa cefalosporina è ancora oggi in commercio con brillanti risultati di efficacia terapeutica. Ormai da tempo il technology transfer si è consolidato, soprattutto nel farmaceutico, come un processo indispensabile, non più tramandabile tramite “pizzini” bensì, rispettando tutti i principi di data integrity, avvalendosi di tutte le più recenti tecnologie di comunicazione, di registrazione dei dati, in modo da implementare un processo ben regolamentato.

Lo scopo del Technology transfer secondo le ICH Q10 è quello di «trasferire le conoscenze di prodotto e di processo tra lo sviluppo e la produzione e all’interno o tra i siti di produzione per ottenere la realizzazione del prodotto”, come suggerisce nell’articolo Roberta Bucci di Catalent Biologic. L’articolo dà ampi riscontri di cosa si intende oggi per technology trasfer e di quali sono le linee guida ed i suggerimenti per operare al meglio.