È sufficiente consultare i dati europei sulla disoccupazione giovanile per rendersi conto della situazione italiana. La miopia su questo tema è una delle
cose che ha accomunato da sempre tutti i Governi degli ultimi 40 anni. Le politiche giovanili non sono mai state di grande interesse per i nostri governanti, molto più focalizzati su quanto potesse nel breve portare, con
meno sforzi e più visibilità, acqua al mulino che raccoglie i voti e i consensi. Ecco allora lo sbilanciamento quantitativo tra la domanda delle imprese e le scelte dei giovani, ai quali forse nessuno si è preoccupato di comunicare dove stava andando il Paese e di quali professionalità ci sarebbe stato bisogno. Impatto forte anche sulla qualità dell’istruzione, per molti versi rimasta indietro con l’aggiornamento dei programmi, che dovrebbero avere l’obiettivo di formare giovani pronti ad affrontare la vita sia con valori di onestà, lealtà e rispetto, con competenze vicine a quanto il mercato andava a chiedere. Molte imprese, poi, offrono ai giovani l’opportunità di tirocini che tutto hanno fuorché l’obiettivo di formare i ragazzi.

In questi ultimi anni, infine, la pandemia, la crisi economica e la mancanza
di investimenti hanno fatto il resto. Come si può uscire da questa impasse? Certo, tutte le componenti hanno un ruolo fondamentale.

La famiglia: sono stato educato con l’esempio. Se tornavo a casa da scuola con una nota o con un brutto voto, i miei genitori non si rivolgevano all’insegnante per avere spiegazioni; queste venivano chieste a me e il più delle volte erano seguite da provvedimenti nei miei confronti. Essi poi collaboravano costruttivamente con i docenti per capire come fare per facilitare la mia crescita di consapevolezza. Credo che in larga parte i genitori di oggi non abbiano un approccio simile.

La scuola: ritengo che il ruolo debba essere duplice. Mi aspetto una scuola
in grado di consolidare, di concerto con la famiglia, quei valori che serviranno
al giovane per inserirsi nella società, così da evitare comportamenti anomali che possano sfociare in tragedie. Parlo di rispetto degli altri, di correttezza, di
rettitudine. Quanto ai contenuti, non si può formare un giovane su argomenti
fatti quasi esclusivamente di nozionismo, senza tenere in considerazione quale
è la vera esigenza del mondo del lavoro, e quindi quali competenze sia necessario costruire in funzione della domanda delle imprese. Si deve colmare questo sbilanciamento tra domanda delle imprese e scelte dei giovani. Forse sarebbe il caso di prendere in seria considerazione il mettere mano in modo radicale a queste mancanze, lavorando in stretto contatto, mondo della scuola e del lavoro, per trovare una soluzione adeguata che preveda una revisione profonda dei piani di studio, con conseguente necessità di un aggiornamento delle competenze del corpo insegnante. Il primo passo sarebbe snellire le lentezze tipiche della burocrazia italiana, che tende a rallentare più che a risolvere i problemi.

I giovani: penso che molte delle critiche che gli si addossano dipendano dal modello di società che siamo stati in grado di proporre loro. Quando ci troviamo di fronte a giovani che, in un colloquio di lavoro, pongono come punti fermi “quanto sarà il mio stipendio”, “non voglio lavorare nei week end”, “voglio andare in ferie per tutto il mese di agosto”, ritengo che noi adulti, genitori e nonni, dovremmo realmente farci delle domande.