«Uno studio decisamente ampio, che ha coinvolto molti centri di ricerca in tutto il mondo e la cui pubblicazione conta oltre 200 autori». Il rimando è alla collaborazione scientifica internazionale che ha validato – per la prima volta – l’efficacia di uno strumento che facendo leva sull’intelligenza artificiale riesce a progettare nuove molecole di potenziale uso farmacologico. Ne parla Giuseppe Gasparre, professore al Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche e direttore del Centro di Ricerca Biomedica Applicata (CRBAO) dell’Università di Bologna, tra gli autori dello studio. Pubblicata su Scientific Reports (titolo del contributo: “AI is a viable alternative to high throughput screening: a 318-target study”), la ricerca ha coinvolto più di 250 istituti in 30 Paesi, tra cui – appunto – l’Italia con Unibo (con la partecipazione di Gasparre e di Monica De Luise del Dipartimento di Scienze mediche e chirurgiche), congiuntamente ad Anna Maria Porcelli e a Luisa Iommarini del Dipartimento di Farmacia e Biotecnologie (FABIT).
Potenziale alternativa all’High Throughput Screening
Di fatto, la nuova tecnologia potrebbe costituire un’alternativa più efficace all’High Throughput Screening, la sperimentazione, oppure screening, ad alta produttività (HTE o HTS) utilizzata nel comparto farmaceutico per la progettazione di composti di recente scoperta e lo sviluppo preclinico in fase iniziale di farmaci candidati. Sviluppata dalla startup Atomwise (“azienda americana che sperimenta l’IA per progettare molecole di potenziale interesse farmacologico, dunque a bersaglio, basandosi sulla struttura di dettaglio che tali molecole devono colpire”, precisa Gasparre), la piattaforma tecnologia rappresenta il primo network neurale ideato per prevedere la bioattività di piccole molecole nell’iter di sviluppo di nuovi farmaci.
Grazie al suo approccio virtuale allo screening ad alta capacità – il più ampio e numeroso mai realizzato –, il sistema è in grado di svolgere una serie di ricerche all’interno di una libreria che contiene molti miliardi di composti sintetizzabili, mirando a scovare nuove soluzioni in un vasto spazio chimico ancora inesplorato. Numeri alla mano, sono state analizzate 318 molecole target, ottenendo risultati promettenti sia in ognuna delle principali aree terapeutiche sia in ciascuna delle principali classi di proteine. È facile comprendere, da qui, come l’IA “possa costituire un ottimo metodo per comprendere la corretta struttura di una molecola che poi abbia anche un’azione biologica funzionale sul bersaglio”, circoscrive Gasparre.
Intelligenza artificiale per lo sviluppo di nuovi farmaci
L’industria farmaceutica è impegnata, da tempo, in un lungo e complesso processo atto a riconoscere nuove sostanze idonee per contrastare le patologie su scala globale. Iter che, allo stato attuale, non può essere scevro dal considerare l’IA come una preziosa alleata, in particolar modo nella predizione della composizione molecolare di nuovi farmaci. Puntualizzando che «l’intelligenza artificiale abbatte una serie di costi rispetto alla sintesi farmaceutica (che ha tempi più lunghi per disegnare e progettare le molecole), con benefici in termini di risparmio economico e di tempo», Gasparre evidenzia poi che il complesso «lavoro di sviluppo di nuovi farmaci si concentra su patologie sempre più difficili, motivo per cui necessitiamo di nuove molecole grazie a cui trovare soluzioni inedite». E ancora, che «un approccio fondato sull’IA come quello che abbiamo validato in questo studio, può schiudere tante nuove possibilità e giocare un ruolo fondamentale».
Questa ricerca internazionale si inserisce perfettamente nel solco tracciato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, con l’applicazione delle sue linee guida per gestire i benefici e tutelarsi dai rischi dettati dall’utilizzo delle nuove tecnologie. Fermo restando che, come già espresso, la ricerca scientifica e lo sviluppo di farmaci – anche per identificare composti finora inesistenti – non può prescindere dal ricorso alle tecnologie di intelligenza artificiale generativa, è bene rimarcare che quest’ultime «hanno il potenziale per migliorare l’assistenza sanitaria, ma soltanto se coloro che le sviluppano, regolano e utilizzano sono in grado di identificare e valutare i rischi ad esse correlati», ha dichiarato Jeremy Farrar, Chief Scientist dell’Oms.