Le aziende farmaceutiche investono milioni di euro nello sviluppo di un farmaco, che sia finanziando la propria ricerca interna o facendo “cherry picking” di realtà esterne con composti promettenti in fasi più o meno avanzate di sviluppo clinico. Durante il viaggio di sviluppo di un farmaco vengono disegnati e prodotti centinaia se non migliaia di composti che poi, per la maggior parte, non arrivano a diventare un farmaco.
Il processo di Drug Discovery procede tradizionalmente in un solo senso: dalla patologia clinica si identifica il meccanismo d’azione alla base e, dunque, i composti migliori per targettare ed interferire con la causa molecolare scatenante la malattia. E se invece ragionassimo al contrario? Perché non provare a prendere uno o più composti esistenti e verificare se ed in quali patologie potrebbero essere efficaci? Fino ad oggi la risposta a questa domanda era piuttosto semplice: applicare questo reverse engineering non era fattibile perché il panorama delle patologie e dei meccanismi di azione molecolari con cui ogni singolo composto andrebbe confrontato è immensamente vasto. Ed è proprio qui che entra in gioco l’Intelligenza Artificiale. L’elevata potenza di calcolo nonché la capacità di apprendere sono la chiave per risolvere un puzzle enorme per il quale non ci è nemmeno stata fornita la soluzione in copertina.
Le potenzialità del Machine Learning
L’Intelligenza Artificiale, sfruttando meccanismi di Machine Learning, è in grado di screenare migliaia e migliaia di composti contro un database di target molecolari coinvolti nell’insorgenza delle più differenti patologie, per restituire un matching finale. Ciò consentirebbe di ampliare il potenziale raggio di impiego di un composto anche al di fuori dell’area terapeutica per la quale sia stato inizialmente pensato. Il Drug Repurposing consentirebbe ai pazienti un maggiore e più veloce accesso a potenziali cure, un risparmio notevole alle aziende farmaceutiche ed addirittura un recupero di inefficienze passate, “riciclando” composti dimenticati o mai arrivati alla destinazione finale. È possibile, inoltre, pensare al riposizionamento di un farmaco sulla base degli effetti collaterali verificatesi nelle fasi di sviluppo: l’effetto indesiderato di un farmaco in una determinata patologia potrebbe essere un effetto di cura in una patologia totalmente differente, difficilmente individuabile senza elevatissime capacità di calcolo.
Il Drug Repurposing è già stato impiegato in tempi recenti, durante la pandemia di Covid-19 per identificare in tempi brevi potenziali farmaci contro la pandemia: milioni di composti sono stati screenati da un super computer munito di intelligenza artificiale per verificarne il potenziale match contro il virus. Sono ormai molteplici anche le start-up che si sono lanciate in questo mondo aprendo le porte a nuove potenzialità di business per piccole e grandi aziende. Il Drug Repurposing apre la scena ad un nuovo modo di pensare il processo di Drug Discovery e può portare importanti sbocchi nel trattamento di patologie rare (per le quali la ricerca è ancora più difficile) ma anche nell’uso off label (ad oggi gestito fondamentalmente solo tramite esperienza sul campo dei medici). Negli ultimi anni già più di 100 farmaci sono stati riposizionati tramite questo metodo: oggi che l’intelligenza artificiale è sempre più accessibile e potente assisteremo sicuramente ad un incremento del Drug Repurposing, spinto certamente anche dalle autorità regolatorie che premono per avere un più ampio e celere accesso alle cure nonché significativi abbattimenti nei costi dei farmaci.
Fonte: Drug Repurposing: An Effective Tool in Modern Drug Discovery – PMC (nih.gov)
Fonte immagine: ChatGPT