La presenza di segnali esterni, quali fattori di crescita, stress o infezioni virali, impone alle cellule dell’organismo umano di variare la velocità con cui producono le proteine per meglio adattarsi alla variabilità dell’ambiente esterno. 

Protagonista di questi processi di adattamento è la proteina eIF6, che svolge un ruolo fondamentale per l’assemblaggio dei ribosomi, le “fabbriche” cellulari delle proteine. È noto che ormoni come l’insulina aumentano l’attività di eIF6.

Un recente studio pubblicato su Molecular Cell a firma del gruppo di ricerca coordinato da Stefano Biffo, docente dell’Università Statale di Milano e della Fondazione Istituto Nazionale di Genetica Molecolare – INGM,  con il contributo primario di Annarita Miluzio ricercatrice di INGM e di Alessandra Scagliola ricercatrice della Statale, e la collaborazione dei ricercatori dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, getta ora nuova luce sul ruolo cruciale della fosforilazione di eIF6. I ricercatori milanesi hanno dimostrato che l’aggiunta di gruppi fosfato agisce come un vero e proprio interruttore che regola la velocità e l’efficienza della sintesi proteica. Secondo ii nuovi risultati, la fosforilazione della proteina eIF6 controlla fino al 70% dell’efficienza delle cellule di produrre proteine. Quando eIF6 è fosforilata, la sintesi proteica è massima; quando non lo è, la velocità di sintesi scende fino al 30%.

L’importanza della fosforilazione in molti processi biochimici

Il gruppo di ricerca coordinato da Stefano Biffo già nel 2003 aveva scoperto in vitro il ruolo della fosforilazione e nel 2011, con il contributo di Annarita Miluzio, ne aveva evidenziato il ruolo cruciale nella progressione tumorale, risultati confermati da numerosi altri studi indipendenti.

Gli ultimi risultati della ricerca hanno permesso di evidenziare che la forma fosforilata del fattore eIF6 controlla l’ultima fase della traduzione, in cui i ribosomi raggiungono il codone di stop dell’RNA messaggero (mRNA) e devono essere rilasciati per iniziare un nuovo ciclo di sintesi. Finora si riteneva che i ribosomi venissero semplicemente rilasciati senza una regolazione particolare. Lo studio mostra invece che il riciclo dei ribosomi è un processo attivo e finemente controllato. In assenza della forma fosforilata di eIF6, il meccanismo si inceppa: i ribosomi si accumulano sul codone di stop e non ripartono, causando un rallentamento globale della sintesi proteica. Si tratta quindi di un meccanismo essenziale per la sopravvivenza e la crescita di tutte le cellule.

Un secondo aspetto chiave messo in luce dai ricercatori milanesi riguarda l’effetto dei segnali extra-cellulari sulla proteina eIF6: i segnali di crescita aumentano la fosforilazione di eIF6, mentre la privazione di fattori di crescita o le infezioni virali la riducono. In queste ultime condizioni, le cellule entrano in uno stato chiamato RESt (riposo energetico): abbassano il consumo di energia, rallentano drasticamente la sintesi proteica globale, ma mantengono la capacità di produrre proteine antivirali. Si tratta di una condizione di quiescenza controllata, in cui la cellula resta vitale e mantiene una risposta antivirale e antinfiammatoria attiva.

Questa ricerca rivela un nuovo livello di controllo della traduzioneha commentato Stefano Biffo. “Mentre l’inizio della traduzione era già noto essere un punto di controllo importante, ora sappiamo che anche il riciclo dei ribosomi dopo la terminazione è un processo finemente regolato che integra segnali mitogenici e di stress. La via di eIF6 rappresenta un meccanismo evolutivamente conservato che permette alle cellule di passare rapidamente da uno stato proliferativo ad alto consumo proteico a uno stato quiescente ma energeticamente attivo, di rispondere alle infezioni virali rallentando la sintesi proteica (necessaria ai virus) ma mantenendo la capacità di produrre proteine antivirali e di proteggere cellule preziose (come cellule staminali) da stress temporanei senza indurne la morte”.

Le prospettive future

I risultati dello studio aprono nuove prospettive per comprendere le malattie legate alla disregolazione della sintesi proteica (tra cui tumori e malattie neurodegenerative). Potrebbero essere utili per sviluppare terapie capaci di modulare la velocità di traduzione e per comprendere i meccanismi che regolano la quiescenza e la riattivazione cellulare. “Il prossimo passo sarà lo sviluppo di farmaci capaci di intervenire direttamente sul processo di fosforilazione, potenzialmente mirati a livello molecolare a tumori epatici e linfomi, ma anche a malattie ereditarie rare come la sindrome di Shwachman-Diamond”, ha indicato Stefano Biffo.

La ricerca pubblicata su Molecular Cell è durata otto anni ed è stata realizzata grazie all’uso di tecniche “omiche” e molecolari applicate a modelli cellulari e murini geneticamente modificati. Lo studio è stato realizzato grazie al sostegno di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, Fondazione Telethon, Fondazione Invernizzi e del progetto PNRR “Sviluppo di terapia genica e farmaci con tecnologia a RNA” nell’ambito dello Spoke 9, a guida dell’Università Statale di Milano.