Un approccio molecolare che offre un panorama inimmaginabile: l’IA per sviluppare nuovi farmaci che si adattano alla perfezione all’organismo umano. Nell’ambito di un sistema di intelligenza artificiale “biologica”. Siamo in Australia, dove il professor Greg Neely e il suo team dell’Università di Sydney hanno sviluppato “PROTEUS” (PROTein Evolution Using Selection), un motore evolutivo che – agendo in ambienti cellulari complessi – impiega virus modificati per avviare mutazioni controllate nelle proteine, individuando esclusivamente quelle con specificità desiderate. I risultati dello studio sono disponibili su Nature Communications.

Parliamo di un processo molecolare che si sviluppa come un motore di ricerca “biologico”: appurate tutte le specifiche, “PROTEUS” può esplorare milioni di opportunità genetiche. La vera novità, però, alberga nel contesto: se l’evoluzione diretta tradizionale funziona nei batteri o lieviti, “PROTEUS” agisce direttamente all’interno delle cellule del mammifero. Ciò significa che le proteine evolute risultano già ottimizzate per funzionare nell’organismo, scongiurando il rischio che molecole promettenti in laboratorio si scoprano inutile, poi, nel corpo umano.

Velocizzare lo sviluppo di nuove terapie molecolari

I primi test hanno prodotto risultati insperati. Il team di ricerca della più antica università dell’Australia ha impiegato “PROTEUS” per migliorare una proteina che regola l’attivazione genica (o fattore si trascrizione) – che si lega con specifiche sequenze di regolando la trascrizione dei geni, ovvero il processo mediante il quale l’informazione genetica custodita nel DNA viene trascritta in una molecola di RNA messaggero grazie all’enzima RNA-polimerasi II – ottenendo una versione sei volte più sensibile ai farmaci di controllo.

Nell’ambito di un secondo esperimento, i ricercatori hanno ottimizzato un nanobody (anticorpo miniaturizzato che viene prodotto dai camelidi in risposta all’esposizione ad un antigene) per rilevare danni al DNA. Ebbene, dopo 35 cicli evolutivi la proteina modificata è riuscita a identificare con precisione le cellule danneggiate dalla chemioterapia, “accendendosi” letteralmente all’interno del nucleo cellulare. È bene ricordare che il sistema “PROTein Evolution Using Selection” è stato reso open source per la comunità scientifica, velocizzando potenzialmente l’aumento di nuove terapie molecolari.

L’IA cambia le regole della ricerca scientifica

Dal team australiano del Centenary Institute al gruppo di ricercatori internazionali guidato da Alex Zhavoronkov, fondatore di Insilico Medicine – azienda biotecnologica con sede centrale a Boston – e tra gli antesignani dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale nella ricerca farmaceutica. Lo scienziato è riuscito nell’impresa di pensare, progettare e sperimentare un nuovo farmaco utile contro la fibrosi polmonare idiopatica (malattia respiratoria che attacca il tessuto polmonare provocandone una progressiva cicatrizzazione e, di conseguenza, pregiudicando lo scambio di ossigeno e anidride carbonica) interamente grazie all’IA. Ed è la prima volta che una molecola generata da un algoritmo, su un bersaglio individuato da un altro algoritmo, approda a un livello così avanzato di test sull’uomo. L’intero iter, durato cinque mesi, è stato descritto dalla rivista Nature Biotechnology.

Impiegando il sistema “PandaOmics”, l’algoritmo ha analizzato migliaia di geni e proteine ricercando quelli più legati alla fibrosi polmonare idiopatica. Quindi ha conciliato dati biologici, informazioni cliniche, articoli scientifici e dati brevettuali per scovare un nuovo potenziale bersaglio coinvolto nella patologia. Esaminando i dati è emersa la proteina “TNIK” (Traf2- and Nck-interacting kinase) un enzima della famiglia “Germinal Center Kinase” (GCK) – mai studiato prima nella fibrosi.

Quindi è entrato in gioco un secondo algoritmo, che ha disegnato da zero la molecola “INS018_055” – poi testata in uno studio clinico di fase 2 su 60 pazienti con fibrosi polmonare idiopatica – in grado di colpire proprio quella proteina. I risultati della sperimentazione in farmacologia fanno ben sperare: il farmaco, infatti, è risultato sicuro e scevro da effetti collaterali importanti rispetto al placebo. Inoltre, la molecola scoperta dall’IA ha condotto a un calo del declino della funzione respiratoria.

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