“I più alti prezzi dei medicinali negli Stati Uniti, denunciati dal presidente Trump, sono il risultato di un sistema interamente privatizzato che contribuisce ad aumentare tutte le voci di spesa sanitaria. Al contrario, il nostro Servizio sanitario nazionale, anche grazie al lavoro dell’Aifa, riesce a ottenere per i farmaci prezzi tra i più favorevoli tra i Paesi OCSE”, ha affermato il presidente dell’Agenzia Italiana del Farmaco, Robert Nisticò, commentando il recente ordine esecutivo con cui il presidente americano ha annunciato l’intenzione di tagliare drasticamente i prezzi dei medicinali su prescrizione commercializzati negli Stati uniti (ne abbiamo parlato qui).
“Non possiamo ignorare, però – ha proseguito Nisticò – che anche in Italia la spesa farmaceutica è in costante crescita. È dunque necessario intervenire sulla governance, individuando strumenti che consentano di premiare esclusivamente l’innovazione autentica, quella capace di dimostrare con dati reali un beneficio terapeutico concreto per i cittadini”.
La posizione di PhRMA
Anche l’associazione statunitense dell’industria farmaceutica PhRMA (Pharmaceutical Research and Manufacturers of America) ha commentato l’annuncio della Casa Bianca per bocca del suo presidente e Ceo Stephen J. Ubl.
“Per abbassare i costi per gli americani – ha detto Ubl – dobbiamo affrontare le vere ragioni per cui i prezzi US sono più alti: i paesi stranieri non pagano la loro parte in modo equo e gli intermediari fanno aumentare i prezzi per i pazienti US”.
Per il presidente di PhRMA, l’amministrazione americana fa quindi bene a fare ricorso a negoziazioni commerciali per forzare i governi stranieri a pagare un giusto importo per i medicinali, mentre i pazienti americani non dovrebbero pagare il conto dell’innovazione globale. Una posizione, quella di PhRMA, che quindi ricalca quella del presidente Trump e alla quale nel momento in cui scriviamo non si è ancora avuta risposta dalle associazioni industriali europee.
“Gli Stati Uniti sono l’unico paese al momento che permette a PBM, assicuratori e ospedali di trattenere il 50% di ogni dollaro speso in medicinali – ha continuato Ubl -. Le somme che vanno agli intermediari spesso eccedono il prezzo in Europa. Dare questi soldi direttamente ai pazienti permetterà di abbassare i loro costi per i farmaci e di ridurre in modo significativo il divario con i prezzi europei. Importare prezzi stranieri da paesi socialisti sarebbe un cattivo affare per i pazienti e i lavoratori americani. Significherebbe meno trattamenti e cure e frammenterebbe i miliardi che le aziende facenti parte della nostra associazione stanno pianificando d’investire in America, mettendo a rischio i posti di lavoro, colpendo l’economia e rendendoci maggiormente dipendenti dalla Cina per i medicinali innovativi”