La Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) richiede una diagnosi precoce e un trattamento che tenga conto anche della frequente comorbilità, facilità di riacutizzazione ed età avanzata del paziente.

Broncopneumopatia Cronica OstruttivaIn prossimità della XIII Giornata Mondiale della BPCO, prevista per il 19 novembre, i rappresentanti delle principali società scientifiche italiane in materia SIMeR, AIMAR, AIPO e SIMG si confrontano sull’importanza della gestione clinica multidisciplinare e integrata della patologia che assicuri un’efficace presa in carico del paziente e presentano il Progetto educazionale EUREKA che ha preso vita grazie anche al contributo non condizionato di Biofutura con l’intento di sensibilizzare i medici di medicina generale sulla diagnosi precoce della BPCO e sulla cura globale del paziente.

La Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) è caratterizzata da un’ostruzione irreversibile delle vie respiratorie, è solitamente progressiva e associata ad uno stato di infiammazione cronica e ad una diminuzione del flusso respiratorio, risultanti dalla combinazione di lesioni diverse e variabili per sede, tipo, gravità o estensione. Tra le maggiori cause di questa condizione, va considerato il tabagismo, seguito dall’esposizione ad agenti inquinanti e dall’inalazione di sostanze nocive.

I sintomi della BPCO (tra i più frequenti tosse protratta, presenza di catarro, dispnea, limitata tolleranza all’esercizio fisico o bronchiti che tardano a guarire) vengono spesso sottovalutati e trascurati, poiché ritenuti conseguenza pressoché naturale del fumo o dell’invecchiamento della persona. Ciò fa sì che la diagnosi avvenga in ritardo o non avvenga affatto.

Il principale strumento diagnostico per la BPCO è  la spirometria, esame che verifica l’ostruzione del flusso aereo, unita alla valutazione di sintomi respiratori e/o esposizione ai fattori di rischio, della qualità di vita e a eventuali altre indagini di funzionalità respiratoria. “Si pensi che in alcuni pazienti la BPCO viene diagnosticata attorno ai 60 anni, quando la malattia è ad uno stadio avanzato e la funzione respiratoria risulta già significativamente compromessa – spiega Carlo Mereu, Direttore Struttura Complessa di Pneumologia e Direttore Dipartimento Specialità Mediche ASL2 Savona, e Presidente SIMeR (Società Italiana di Medicina Respiratoria) – La spirometria, che richiede massima collaborazione da parte del paziente, nonché la presenza di personale adeguatamente istruito, è purtroppo un esame poco effettuato. Questo aspetto, assieme alla non adeguata valutazione dei fattori di rischio, contribuisce ad accrescere la problematica della sottodiagnosi”.

Si stima che in Italia la BPCO riguardi 4.400.000 pazienti, di cui il 61% non non correttamente diagnosticati o adeguatamente trattati, e si prevede che nel 2020 questa condizione possa rappresentare la 3° causa di morte nel mondo.

Come per tutte le grandi cronicità, la corretta gestione della Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO) richiede un programma di monitoraggio della malattia che consenta di adattare il trattamento alla progressione della stessa e, soprattutto, un precoce intervento della riabilitazione respiratoria per prevenire l’invalidità polmonare. “La terapia del paziente con BPCO in fase stabile  – precisa Fausto De Michele, Primario della U.O. di Pneumologia I e Fisiopatologia Respiratoria dell’Ospedale Cardarelli di Napoli e Presidente Nazionale AIPO (Associazione Italiana Pneumologi Ospedalieri) – prevede innanzitutto la rimozione dei fattori di rischio, con particolare riferimento al fumo di sigaretta. Attualmente sono, inoltre, disponibili diversi farmaci broncodilatatori a lunga durata d’azione (LAMA, anticolinergici long acting, LABA, β2-agonisti a lunga durata d’azione associabili a steroidi inalatori) che  sono molto efficaci nel controllo dei sintomi del paziente ed in grado di rallentare la progressione della malattia”.

Nel corso della storia naturale della condizione patologica, il paziente con BPCO può andare incontro a riacutizzazioni, prevalentemente su base infettiva (virale e/o batterica) che rappresentano la principale causa di visite mediche, ospedalizzazioni e decessi.  “Per la prevenzione delle riacutizzazioni è importante l’esecuzione in tutti i pazienti della vaccinazione antinfluenzale, associata al regolare trattamento farmacologico di base – afferma De Michele – Per quanto riguarda il trattamento delle esacerbazioni, quelle meno gravi possono essere trattate a domicilio con l’aumento del livello di trattamento basale e l’integrazione, se necessario, di antibiotici e steroidi. Nei casi più gravi bisogna ricorrere alla ospedalizzazione, possibilmente  in ambiente specialistico pneumologico per la possibilità di utilizzare, quando necessario, presidi quali l’ossigenoterapia continua e la ventilazione meccanica non invasiva al fine di ridurre il rischio di ricovero in area critica (rianimazione)”.

Il paziente con BPCO richiede una gestione piuttosto complessa, soprattutto in considerazione del fatto che frequentemente si tratta di un paziente anziano, diagnosticato in ritardo, molto probabilmente fumatore (o ex fumatore) e con possibili comorbilità. Per la presa in carico ottimale di questo tipo di paziente è pertanto necessario un approccio multidisciplinare, che veda la massima collaborazione tra il medico di medicina generale e lo specialista pneumologo (ed eventuali altre figure professionali coinvolte nell’assistenza domiciliare) e che incontri un sistema di cure integrate sul territorio.

“Il medico di medicina generale ricopre un ruolo fondamentale, innanzitutto nella prevenzione e nella diagnosi precoce della malattia – afferma Germano Bettoncelli, Medico di Medicina Generale a Brescia e Responsabile Nazionale Area Pneumologica SIMG (Società Italiana di Medicina Generale) – se si considera che in un anno ha la possibilità di visitare in media circa l’80% dei propri assistiti. Di fronte a un paziente con BPCO, è fondamentale che il medico di medicina generale  imposti un piano di  presa in carico globale, che tenga conto della cronicità della patologia, della sua progressiva evoluzione e del rischio di esacerbazioni della stessa. – conclude Bettoncelli – Soltanto una buona relazione tra medico di medicina generale e specialista, in un contesto di gestione integrata territoriale, purtroppo ancora in parte da costruire, permetterà di offrire al paziente la continuità assistenziale auspicabile”.

“Il progetto EUREKA – spiega Fernando De Benedetto, Direttore dell’UOC di Pneumologia Presidio Ospedaliero Clinicizzato di Chieti e Presidente AIMAR (Associazione Scientifica Interdisciplinare per lo studio delle Malattie Respiratorie) – prevede lo svolgimento di 150 incontri ECM sul territorio nazionale che coinvolgeranno oltre 1.000 medici di medicina generale con l’intento, grazie anche al coordinamento di uno specialista pneumologo, di fornire un’opportunità educazionale sulla gestione clinica integrata della BPCO”.

La ricerca clinica e farmacologica attuale nell’ambito della BPCO prosegue nell’impegno di valutare i benefici derivanti dall’associazione di farmaci broncodilatatori come i LABA (β2-agonisti a lunga durata d’azione) o i LAMA (anticolinergici a lunga durata d’azione), tra loro o eventualmente associati a steroidi.

“Recenti studi clinici hanno mostrato che la combinazione fissa di due broncodilatatori con meccanismo d’azione sinergico – conclude De Benedetto – ha dimostrato di migliorare la qualità di vita del paziente, grazie a un potenziamento dell’azione e a una duplice broncodilatazione. La monosomministrazione giornaliera dei due broncodilatatori assicura una maggiore compliance senza che aumentino gli effetti collaterali. Questa associazione, dunque, ha le potenzialità per diventare un’opzione terapeutica di riferimento nel trattamento della BPCO”.

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