“Non ti pago” è il titolo di una delle commedie più divertenti di Eduardo. Sentirne il titolo mette allegria. Ma c’è uno spettacolo dallo stesso titolo che sta andando in scena sul palco della sanità pubblica del nostro Paese che appartiene al dramma, anzi alla tragedia. “Non ti pago” dice la pubblica amministrazione all’imprenditore che vende farmaci o dispositivi al SSN. “Pagami o ti confisco tutto”, dice però la stessa pubblica amministrazione allo stesso imprenditore se ritarda un giorno nel pagare anche la più infima delle tasse. “Da oggi non ti faccio più credito e, anzi, ridammi subito indietro quello che ti ho prestato”, gli dice contemporaneamente la grande banca di cui è cliente da sempre. Quella stessa grande banca dalla quale oggi vai col cappello in mano. A causa della quale – delle quali – quest’orrida crisi è nata (derivati e Co.) e che dopo, incredibile e grottesca beffa, hai salvato con le tue tasse aumentate a dismisura che ti stanno spingendo nel baratro. Cornuto e mazziato, quell’imprenditore. Allora ti fa ancora più rabbia vedere il concorrente dai prodotti pure peggiori dei tuoi che vince gare e appalti allungando mazzette o pagare favori al politico o all’amministratore. E quelle cause in cui rivendichi le tue sacrosante ragioni, trascinate per anni – troppi – verso prescrizioni e impunità di chi ti deve. Tu vorresti fare la tua corsa, magari lavorando 15 ore al giorno, come spesso fai facendo arrabbiare tua moglie, che poi ti ama anche per questo. Vorresti solo stare bene e far stare bene i tuoi collaboratori, con alcuni dei quali siete invecchiati insieme, insieme avete pianto e riso, che hanno figli da crescere, che dipendono in tutto da te, lo sai. Ma così come fai, non ce la fai. Non vuoi metterti a corrompere anche tu. Non sei capace, non vuoi esserne capace. I tuoi genitori ti hanno insegnato certi principi, li vuoi trasmettere ai tuoi di figli. Ci tieni ai tuoi figli, più di ogni cosa, fai tutto per loro, perché crescano bene. Che esempio daresti loro rinnegando la brava persona che sei, che loro sanno tu sei. Però non ce la fai ad andare avanti così. Non ce la fai più. Basta. Allora qualcuno molla tutto. Anche la vita. Le ultime lettere lasciate da alcuni di loro sono di una dignità che va oltre ogni commozione. Onore e dignità, silenziosi, mica quelli abusati demagogicamente nella bassa e rozza cucina partitico-ideologica neo-nostalgica o esibiti volgarmente da decerebrati ultras da stadio. Questo è un nuovo tragico Spoon River di cui neanche E. L. Masters saprebbe raccontarne la tristezza. Le speranze, le energie, l’orgoglio di quelle persone. Non voglio fare l’elegia dell’imprenditore italiano medio: in quanto tale (italiano più imprenditore) pieno di grandi virtù e di grandi difetti (con un poco di etica e di cultura in più saremmo inarrivabili…). Neanche incolpare apoditticamente le tasse, che sarebbero davvero, come disse il compianto Padoa Schioppa (volgarmente sbertucciato per questo) “bellissime”, se indirizzate virtuosamente e in modo efficiente a renderci un Paese civicamente migliore (salute, scuola, sicurezza, ambiente, socialità, fragilità ecc.). Ma oggi, in Italia, un’impresa onesta (ce ne sono parecchie senza “prenditori” e “magnager”) che vende alla sanità è chiamata a una corsa a ostacoli, con le catene alle caviglie, per di più. I soldi cattivi scacciano quelli buoni, diceva Sir Thomas Gresham, eminente banchiere inglese del 1500, consigliere economico della regina Mary I (la “la sanguinaria”, non a caso). Malaffare che sfocia poi in malasanità: le inefficienze sanitarie diventano cattive cure. Insomma ci rimettiamo tutti. Non è moralismo ma questione puramente pratica. Se nel traffico tutti facciamo i furbi a scapito delle ordinarie regole, il traffico si blocca, come infatti succede nelle nostre città. Paesi dove le regole sono trascurate hanno le peggiori economie e la più bassa qualità del vivere quotidiano. Altrove l’hanno capito da tanto tempo. Forse aiutati da Lutero e Weber, chissà. A noi, invece insegnano il ruolo salvifico e trascendente del peccato insieme a quello assolutorio (comodo) del pentimento. Un “mea culpa” e qualche “Pater Gloria” e via, si può ricominciare a trasgredire. Chissà quanti altri imprenditori per bene dovremo piangere, quante imprese vedere ancora chiudere, quanti bravi addetti licenziati, quanta rabbia reprimere, prima di capirlo davvero.

Fabrizio Gianfrate