Serve un sistema aperto e collaborativo

Sono comunque percorsi complicati che non coinvolgono un solo gruppo di ricerca, ma sfruttano sinergicamente più scoperte. Molto interessante è la storia della proteasi PCSK9 che il relatore ha illustrato alla platea: i ricercatori di un laboratorio hanno dimostrato che in vitro e nei modelli animali la proteasi PCSK9 si lega al recettore epatico delle LDL internalizzandolo all’interno del fegato e questa sua azione porta a un aumento delle LDL plasmatiche con un aumento del colesterolo LDL (LDL-C) circolante nel sangue. Contemporaneamente e in maniera indipendente un altro laboratorio ha dimostrato che in alcuni fenotipi umani mutazioni del gene della proteina PCSK9 con guadagno di funzione di PCSK9 (Gain of Function) sono associate ad un aumento di LDL-C plasmatici e ipercolesterolemia e mutazioni con perdita di funzione (Loss of Function) determinano riduzione dell’LDL-C plasmatico e sono associate a ipocolesterolemia.

Mettendo insieme questi due risultati nati autonomamente si è avuta la dimostrazione nell’uomo che un farmaco in grado di bloccare questa proteina potesse far diminuire il colesterolo LDL ematico, tutto questo ancora prima di avere disegnato e prodotto l’anticorpo monoclonale per la PCSK9. La bontà di questo approccio è stata confermata da diversi studi clinici condotti su anticorpi monoclonali contro la PCSK9 prodotti da diverse società farmaceutiche. «Investire su un possibile farmaco che va a bloccare PCSK9 presenta meno rischi rispetto ad altre molecole perché il successo terapeutico nell’uomo è già dimostrato» evidenzia il relatore.

Questo nuovo approccio alla ricerca basato sulla medicina translazionale richiede un cambiamento delle strutture coinvolte perché la ricerca e la scoperta non possono essere limitate a un unico laboratorio pubblico o privato, grande o piccolo, ma richiede un modello aperto e collaborativo capace di creare ecosistemi di ricerca tra pharma, biotech, università in grado di generare innovazione. «Questo è ancora più importante – continua l’esponente Sanofi – se pensiamo che la ricerca farmaceutica non si ferma e non può fermarsi semplicemente allo sviluppo dei farmaci ma progressivamente dovrà includere outcome riferiti dal paziente, evidenze di efficienza del farmaco legate al mondo reale, diagnostica di accompagnamento, servizi di gestione della malattia, dispositivi di somministrazione dei farmaci innovanti e opzioni di automedicazione. Questo ci aiuterà a ridefinire il valore aggiunto del farmaco nel contesto di quest’altra informazione e a ridurre il gap tra richieste e offerta di assistenza sanitaria».

Accesso ai farmaci secondo i bisogni di cura

Nell’ultimo decennio ottenere la rimborsabilità e un giusto prezzo delle medicine sono infatti diventati processi sempre più complessi e frazionati, che devono essere svolti forse con maggiore trasparenza o omogeneità dei criteri per evitare che il diritto ad essere curati con un certo farmaco sia limitato dalla località in cui il malato risiede. «L’industria e le agenzie nazionali – dichiara Tataranni – devono trovare un’armonia nel definire quali sono i criteri sulla base dei quali l’innovazione deve essere valutata e premiata, perché personalmente, come uomo dell’industria, mi preoccupa come il sistema attuale porti le persone ad accedere ai farmaci non in base al loro reale bisogno, ma alla località in cui abitano. La futura ricerca farmaceutica rimarrà promettente e interessante solo se continueremo nel nostro impegno di vera innovazione e se questa innovazione sarà riconosciuta in maniera rigorosa ma trasparente, il tutto col fine ultimo di ridare speranza e sollievo terapeutico ai pazienti che ne hanno bisogno».